Il 2019, tra le molte altre cose, ricorda anche il centenario della nascita di Carlo Donat-Cattin. Uno statista, un leader politico, un uomo di governo e un grande giornalista. Non è facile rileggere la complessa personalità’ dello statista piemontese anche perché ha attraversato, da protagonista, la storia politica italiana nei suoi tornanti decisivi. Certo. È ricordato come il “Ministro dei lavoratori” che firmò nel maggio del 1970 quello “Statuto dei lavoratori” che ha introdotto la Costituzione repubblicana nelle fabbriche e nel mondo del lavoro. Una conquista di civiltà’. Una conquista politica, culturale e sociale che ha modificato in profondità non solo la legislazione del lavoro ma ha contribuito ad arricchire la qualità e il profilo della nostra democrazia.
Ma Donat-Cattin e’ stato anche molte altre cose. Innanzitutto un autentico leader politico. Un protagonista di primo piano della Democrazia Cristiana. Con la sua corrente, la sinistra sociale di Forze Nuove, e’ riuscito a condizionare l’intera politica del suo partito. Non attraverso il ricatto o l’arroganza ma solo e soltanto con l’arma della politica, del confronto e dell’elaborazione culturale. Non possiamo dimenticare che con i famosi convegni settembrini di Saint-Vincent riusciva a dettare l’agenda politica nazionale attraverso il suo partito, la Dc, ma anche con un confronto a tutto campo. Certo, era un cattolico popolare, interprete autorevole di quel cattolicesimo sociale che continua a conservare, tutt’oggi, una irriducibile modernità ed attualità. E Donat-Cattin è stato anche un grande sindacalista, all’inizio del suo impegno pubblico a Torino e in Piemonte negli anni dell’onnjpotenza e della potenza incontrastata della Fiat.
Un’attività condotta con un coraggio e una determinazione non comuni se è vero, com’è vero, che conduceva la sua battaglia avendo due grandi avversari: il “padronato” da un lato e i comunisti dall’altro. Perché c’è un elemento che ha segnato l’intera esperienza politica, sociale e culturale di Carlo Donat-Cattin. Sintetizzata molto bene da una recente battuta di Diego Novelli, storico sindaco comunista di Torino. E cioè, “Donat-Cattin e’ stato un vero anticomunista che però ha sempre difeso i ceti popolari”. Questo era il vero segreto di Donat-Cattin. Popolare nello stile di vita, difensore degli interessi e delle istanze dei ceti popolari e più disagiati, promotore a livello politico e legislativo di un progetto popolare e di ispirazione cristiana.
Ma Donat-Cattin è stato anche un grande giornalista. Non possiamo dimenticare, al riguardo, le storiche riviste di “Settegiorni” a fine degli anni ’60 e inizio anni ’70 che ha segnato in profondità il futuro del giornalismo politico e di inchiesta nel nostro paese e “Terza Fase” negli anni ’80, una qualificata rivista politica a tutto tondo. Insomma, ricordare e rileggere il magistero politico di Carlo Donat-Cattin significa anche rileggere la storia politica italiana dagli anni ’50 sino alla fine degli anni ’90 – Donat-Cattin muore nel marzo del 1991 – e, al contempo, comprendere ancora una volta la qualità, l’autorevolezza e il prestigio della classe dirigente della Democrazia Cristiana, di cui Donat-Cattin era sicuramente uno dei leader più significativi e riconosciuti.