Negli anni della cosiddetta “prima Repubblica” vi era una componente interna alla Democrazia cristiana dal nome “dorotea”. La sua specificità era la mira infallibile, come quella del bravo cacciatore che individua, mira e fa centro con il fucile sulla preda. L’unica differenza rispetto al bravo cacciatore era solo l’obiettivo: i dorotei non andavano a caccia di animali (ovviamente), ma di potere. Erano presenti in maniera palese od occulta ogniqualvolta c’era da accaparrarsi un posto per gestire il potere.
Negli ultimi tempi il sempre verde (politicamente parlando) Pier Ferdinando Casini ha iniziato a girare l’Italia per presentare il suo primo libro dal titolo incredibile (per chi scrive): “C’era una volta la politica. Parla l’ultimo democristiano”. L’incredulità è soltanto perché non si può camuffare o, peggio, cancellare la storia politica generale, partitica e personale. L’ex presidente della Camera dei Deputati si autodefinisce come l’ultimo dei democristiani con la celata intenzione di fare centro su quelle coscienze che hanno vissuto la stagione democristiana e poi quella del Partito Popolare di Martinazzoli con passione, entusiasmo e voglia di contribuire in maniera disinteressata allo sviluppo della democrazia italiana e al rinnovamento della classe politica e delle istituzioni, ma soprattutto per non aver abbandonato mai la nave anche quando le acque erano molto agitate.
Il Pierre nazionale, invece, da buon doroteo (ha iniziato, infatti, a muovere i primi passi come allievo politico di quel Toni Bisaglia potente doroteo del Veneto) nel 1993, quando la Dc si avviava a cambiare nome per riprendere le idee originarie dei cattolici democratici di don Luigi Sturzo, si schierava contro il suo partito per fondarne un altro (il Centro Cristiano Democratico-CCD) insieme all’attuale sindaco di Benevento, Clemente Mastella.
L’uno e l’altro (non immuni da un certo trasformismo che aveva caratterizzato gli ambienti democristiani) si schieravano così contro la politica di centro incarnata dal Ppi di Martinazzoli; contro il proporzionale, ma soprattutto in funzione di un sistema politico bipolare che consentisse sul versante di centrodestra di salvaguardare posizioni politiche personali e poltrone. Esiste poi (ma questa è storia recente) la spiccata agilità di Casini nel saper saltare i fossi: da parlamentare di centrodestra a senatore del Partito democratico. Ma qui, almeno, è in buona compagnia avendo ritrovato quel Dario Franceschini che allo stesso modo (ma da sinistra) nel 1993 non esitò a imbottire di piombo le ali del giovane Ppi per schierarsi con i cristiano sociali, quindi in funzione sussidiaria ai post comunisti di Occhetto .
Più che ultimo democristiano, Casini assomiglia sempre più a ultimo dei dorotei, vista la sua vicinanza al potere inteso, per lo più, come fine e non come mezzo. Di fatto, il suo esempio fatica ad incrociare quello di tante coscienze limpide del cattolicesimo democratico (democristiani): De Gasperi, Dossetti, La Pira, Lazzati, Moro, Fanfani, Zaccagnini, Donat Cattin, Granelli, Martinazzoli, Galloni. Certo, potrà obiettarsi, non è il solo a doversi far “perdonare” nell’attuale scenario politico. Esiste in ogni caso quella che si definisce dignità politica, generale ed individuale. Le passerelle finalizzate all’auto esistenza politica o a nuove poltrone più prestigiose passano, lambendo quella vera storia che invece si scrive con i fatti e con i propri comportamenti, sia pubblici che personali. E su questi ultimi il neo senatore piddino non brilla sicuramente per tenuta di condotta e di pensiero.