Caso Tarquinio, ovvero l’indole della sinistra a chiudersi in se stessa.

Il nuovo corso del Pd non è granché compatibile, o meglio non è per nulla allineato, alle ragioni culturali, etiche e programmatiche del pensiero e della tradizione del popolarismo di ispirazione cristiana.

La candidatura dell’ex direttore di “Avvenire”, Marco Tarquinio, nelle liste del Partito democratico della Schlein per le prossime elezioni europee non poteva che scatenare polemiche. E così è stato puntualmente. Le motivazioni sono le più svariate: si spazia dalla chiarezza sulla politica estera del partito alla gerarchia dei valori del nuovo corso del Pd; dal profilo culturale del partito al riconoscimento e alla valorizzazione del pluralismo. Ma questo non è un caso isolato. Non possiamo dimenticare, per fare un altro esempio concreto e recente, alla richiesta del capo del Popolari che sono rimasti nel Pd, Pier Luigi Castagnetti, di avere almeno “un posto nella segreteria del partito”. Cioè nell’unico organismo che detiene un po’ di potere al fine della costruzione del progetto politico del partito e, soprattutto, della distribuzione degli incarichi e nella individuazione delle varie candidature. 

Certo, pensando alla personalità politica di Franco Marini –

uno dei maggiori artefici del progetto politico e della scommessa politica del Pd – fa un po’ tenerezza passare da essere una componente essenziale e costitutiva del partito, quella del cattolicesimo popolare e sociale, a mendicare un posto nella segreteria nazionale per ricordare a tutti che nel Pd ci sono ancora i Popolari e i cattolici democratici.

Gli esempi potrebbero continuare all’infinito, a livello nazionale come a livello locale, ma credo siano sufficienti questi due elementi per arrivare alla facile conclusione che l’esperienza e il profilo di quel partito – e del tutto legittimamente – sono cambiati radicalmente e forse irreversibilmente rispetto alla sua intuizione originaria. Del resto, è altrettanto evidente che la storia scorre velocemente e anche l’identità di un partito è piegata alle circostanze del momento. Sempre imprevedibili e cariche di incognite. 

E così è stato anche per il Partito democratico che dopo alterne vicende ha trovato una leadership fortemente innovativa che ha segnato una vera e netta discontinuità politico e culturale rispetto ad un passato recente e meno recente. Certo, chiunque sia il segretario del Pd, il consenso per il principale partito della sinistra Italiana batte quasi sempre attorno al 20%. È lo storico zoccolo duro della sinistra ex e post comunista. Tuttavia, se si vuol superare quella percentuale è altrettanto evidente che non può non aprirsi ad altre culture, ad altre esperienze, ad altri mondi vitali e sociali che non sono strettamente ed organicamente riconducibili alla storia della sinistra italiana. Ma questo è un altro discorso. 

Semmai quello che si può tranquillamente rilevare è che il nuovo corso del Pd non è granché compatibile, o meglio non è per nulla allineato, alle ragioni culturali, etiche e programmatiche del pensiero e della tradizione del popolarismo di ispirazione cristiana. Ed è anche una operazione strana, nonchè singolare, pretendere dalla Schelin una brusca inversione di rotta rispetto al suo progetto politico ritornando alla intuizione originaria del Partito democratico.

Per queste semplici ragioni non stupiscono le polemiche che affiorano attorno alla candidatura/non candidatura di Tarquinio per le prossime elezioni europee. Al netto delle ambizioni personali, e del tutto legittime, dei singoli, è abbastanza noto che ogniqualvolta i cattolici – seppur nelle più svariate sfaccettature che li caratterizzano – devono ricoprire un ruolo politico significativo nel Pd ci sono polemiche, divisioni e veti. Lo sanno quasi tutti, ormai. Stupisce, al riguardo, che non lo sappiano ancora i Popolari che sono rimasti nel Pd.