I nodi della politica, in vista del 2023, arrivano al pettine. Si pensa che Draghi debba farsi da parte e non si calcolano le conseguenze politiche di questa prospettiva. Una riflessione seria dovrebbe interessare il Pd, visto che gli exit poll mettono anche in mostra una certa fragilità dell’alleanza con il M5S. Come si consolida l’area del riformismo responsabile?
Il quorum non è stato raggiunto, una volta tanto le previsioni sono state rispettate. La percentuale dei votanti è stata molto bassa e ciò rende più netta la dêbacle. Non si può parlare di una sconfitta inaspettata, ma della naturale conclusione di un’iniziativa politica che fin dall’inizio appariva malamente imbastita. Mentre il Parlamento era impegnato nell’esame della “riforma Cartabia”, il referendum voluto dai Radicali e, peggio ancora, dalla Lega veniva a spezzare la trama delle intese su una materia molto delicata come la giustizia. Questa distorsione, lesiva implicitamente della maggioranza di governo, ha rappresentato agli occhi della pubblica opinione un tentativo strumentale di ricorso alla consultazione popolare.
Sta di fatto che Matteo Salvini esce da questa prova referendaria ulteriormente indebolito. Del resto, grava su di lui il sospetto di una condotta spregiudicata nei rapporti con la Russia. Guidare un partito di governo in maniera così stridente con le scelte della maggioranza costituisce un elemento di forte discredito. Servirà capire, alla luce dei risultati delle amministrative, quanto la sua leadership abbia imboccato la strada di un declino irreversibile. Se le urne dovessero sancire il declassamento rispetto alla Meloni, sarebbe assai improbabile che nulla accada negli equilibri di partito. Salvini resisterà, conoscendo la tenacia che distingue il suo protagonismo, ma stavolta nella Lega il redde rationem s’annuncia pressoché scontato. Si vedrà, di sicuro un chiarimento di linea politica appare necessario ai fini della tenuta del governo.
Anche il Pd è chiamato a fare chiarezza. Emerge dagli exit poll la percezione di una certa fragilità del cosiddetto campo largo. Non brilla di consensi, alla prova dei fatti, l’alleanza strategica con i 5 Stelle. Su questo punto, anch’esso nevralgico per quanto attiene agli equilibri di governo, Letta ha il dovere di riaprire il confronto negli organi dirigenti. Coerenza vuole che la scelta di porsi a guardia del governo Draghi porti i Democratici a interrogarsi sulle alleanze più idonee a consolidare l’area del riformismo responsabile. Al Nazareno si sottovaluta il rischio di lasciare Draghi troppo solo, pensarlo già fuori da qualsiasi prospettiva elettorale, immaginarne la messa ai margini senza ripercussioni per il futuro dell’Italia. Una proposta politica che regga all’urto di una destra ambiziosa, trainata dalla “novità” della Meloni, non la si costruisce con il semplice restauro del bipolarismo antecedente alla esperienza di Draghi.
I nodi della politica, un po’ per tutti, stanno venendo al pettine.