Cattolici più incerti che mai tra le onde del mare

Nella difficile navigazione - si tratta evidentemente della navigazione politica - fioriscono le leggende delle pésche miracolosamente abbondanti nel cui mito si continuano a formare equipaggi e mettere barche in acqua.

Ottobre è il mese che la gente di mare dedica alla pesca prima che vengano le giornate di mare grosso, d’inverno, e le barche vengano ritirate sulla spiaggia. Ed è pesca fruttuosa se ci sai fare, tanto per il numero dei pesci tanto per la qualità del pescato. Così ad ottobre è stato tutto un fiorire di iniziative di presentazione e promozione del variegato mondo dei cattolici impegnati in politica; come a dire, tutti con la barca in acqua per restare nella metafora. 

Chi veleggia verso il mare aperto in acque internazionali, è certo del mezzo suo e dell’equipaggio imbarcato, sicuro che al momento di tirare le reti, la pesca sarà buona se non addirittura abbondante. Ma sotto sotto lo fa perché nelle acque nazionali non si può più girare la prora verso destra o verso sinistra, che per mare diventa tribordo e babordo, tale è la confusione delle regole per la pesca, unita alla massiccia presenza di barche e barchette nelle acque. 

E qui una riflessione, per chi osserva dalla spiaggia, si impone: già è difficile orientarsi in mare, ma di certo se non sai dove girare la prora poco ti rimane se non andare dritto. Che, ancora fuor di metafora significa ricercare un centro nello schieramento politico, quando lo schieramento non ha più bisogno di una suddivisione geometrica a tre (destra, sinistra e centro), ma si è organizzato in due dimensioni limitate da una linea retta, che non solo le divide ma le limita pure, amando i contesti definiti, certi e sicuri, alle incertezze imposte dalla libertà di pensiero e di azione. La scelta duale è per sua stessa natura livellante e quindi il percorso rimasto è solo quello sulla linea retta guardando, ma non sconfinando, a destra e sinistra. Il nostromo ha il suo bel daffare a tenere la rotta in mare aperto; da qui il fiorire di iniziative di promozione del viaggio che mirano ad assicurare sulla tenuta dell’imbarcazione nel tempo, quale che siano le prove; e poi a prendere in carico le istanze di quelli che sono rimasti a terra, i quali con soldi propri hanno finanziato l’impresa, a cui si uniscono quelli che sperano nel pescato, perché le pance sono vuote da troppo tempo e si è allungata a dismisura la fila di quelli che da tempo hanno fame.  

Quelli che viaggiano vicino alla costa, battono rotte già conosciute nella speranza che non via siano troppe barche sullo stesso posto, o che il luogo preferito per la pesca non sia conosciuto da molti, perché allora si pescherà niente o poco più. È una navigazione che non richiede un grande mezzo ma che soffre dell’incertezza del moto ondoso che vicino alla costa si può fare insidioso, richiedendo maggiori abilità al nostromo e all’equipaggio. Ma soffre pure dell’incertezza del pescato perché i pesci si muovono diversamente e migrano da un luogo all’altro ed inseguirli spesso non conviene; meglio aspettare possibili sporadici ritorni. In questa navigazione fioriscono le leggende delle pésche miracolosamente abbondanti nel cui mito si continuano a formare equipaggi e mettere barche in acqua. 

E i cattolici che c’entrano? Essi dovrebbero ben sapere, per studio del libretto della prima comunione, che il primo gruppo dei loro era composto per la maggioranza di pescatori e l’arte dovrebbero averla “tra le loro corde…(come dice il poeta). Ma sono spesso dimentichi e si avventurano con barche proprie o salgono sulle altrui come equipaggio. Quelli che armano un proprio mezzo, spesso non sanno nulla di mare, e vedono il solo miraggio della pesca abbondante senza tener conto che negli ultimi anni, non soltanto sono tornati a casa con “due pesci due”, ma pure che si sono male assortiti nell’equipaggio e quindi al momento di calare le reti, hanno pasticciato e litigato non poco: mesto risultato, pochi pesci e non di buona qualità.  Quelli che sono saliti su barche altrui, hanno patito il governo di altri (e avrebbero dovuto studiare meglio l’assortimento del personale imbarcato) e hanno lavorato male, non da par loro, per inedia, svogliatezza, incapacità di adattamento, confusione di ruoli e competenze e financo sfortuna; ma resta il fatto che a casa il pesce non l’hanno portato o se l’hanno portato era appena sufficiente per “un brodetto” in tempi di magra. 

Ed invero, il capo loro in questo tempo secolare, che di nome fa Francesco, bene dice e scrive da tempo su quali dovrebbero essere i principi da rispettare e le regole dell’ingaggio. La persona umana al centro dell’agire e il mondo che occupa. Significa pensare ad uno sviluppo futuro con regole differenti perché quelle attuali sono ormai inadatte e che hanno diseguaglianze insopportabili all’umanità. Ripensare alle diseguaglianze non come ad un male ineluttabile connesso all’esercizio della democrazia nel rapporto tra maggioranza e minoranza, perché questo non può essere; e se sono caduti nell’inganno che minoranza corrisponde a quelli che stanno fuori dai giochi allora debbono uscirne con un sol balzo, perché nulla è più grave dell’escludere l’altro. O se le diseguaglianze sono il male conseguente alle regole dell’economia di mercato, allora di dovrebbe iniziare a pensare che questo modello di sviluppo economico ha fatto il suo tempo, è servito all’umanità negli ultimi trecento anni ma ora – e non vi è vergogna alcuna ad abbandonarlo (d’altra parte non è una legge universale ma più modestamente un insieme di regole che l’uomo si è dato –  ci vuole ben altro per tenere insieme il vantaggio proprio con quello degli altri; un passaggio concettuale che porta dal bene totale di tutti (il benessere generalizzato oltre ad essere utopistico è anche uniformante) al bene comune; dall’economia dei mercati all’economia del mercato civile. 

Ma non meno importante è rendere certa e visibile la propria posizione sui diritti inalienabili, quelli senza i quali il vivere civile non è ipotizzabile, perché in questo tempo che scorre rapido, far conoscere agli altri che alcune questioni sono un baluardo oltre il quale nessuno può passare, non solo incoraggia i molti indecisi che proprio sulla difesa dei valori fondano le loro scelte di vita, sentendosi smarriti quando vengono meno e come purtroppo sta accadendo sempre più spesso, ma rafforza il sentimento di coesione tra le genti (o la gente se si preferisce), che è uno dei valori smarriti dall’umanità in questi tempi.  

Così quando si sceglie se armare un mezzo proprio o salire su un altro si guardi con attenzione alla rotta che è tracciata. Se ci sono diseguaglianze, se il pescato è già allocato e non c’è spazio per i bisogni che verranno, allora è meglio scendere a riva che si fa migliore figura o declinare l’invito per collaborare con finanze proprie ad armare una barca che traccerà una rotta per sé e non per il bene di tutti. Poi se si deciderà per il mare aperto o la più rassicurante navigazione vicino alla costa, questo dipende più dal coraggio di ciascuno che dall’esperienza propria.  Buon vento tra le onde.