Articolo già apparso sulle pagine della rivista il Mulino a firma di Fernando D’Aniello
Dopo oltre diciotto anni di Angela Merkel, sono in tre a contendersi la successione alla guida della Cdu. Annegret Kramp-Karrenbauer (1962), attualmente in testa nei sondaggi tra gli iscritti al partito, Friedrich Merz (1955), Jens Spahn (1980). La corsa è ancora aperta: come da statuto, infatti, saranno i mille delegati al congresso federale che si terrà ad Amburgo il 7 e l’8 dicembre a dover fare una scelta e i dati dei sondaggi potrebbero essere smentiti facilmente.
Dopo l’annuncio di Angela Merkel di non ricandidarsi come Vorsitzende, la Cdu si trova in una posizione difficile, al netto di come si concluderà il congresso. Merkel ha spiegato che intende proseguire la legislatura fino alla scadenza naturale del 2021 e di sentirsi vincolata al Patto della Grande coalizione: chiunque vincerà lo scontro nella Cdu dovrà tenere ben presente la volontà della Cancelliera. Che, dunque, esclude categoricamente le dimissioni e sa di poter contare sull’appoggio di Andrea Nahles della Spd.
Chi guiderà da dicembre il partito dovrà accettare per i prossimi anni un ruolo tutto sommato secondario, di sostegno alla Kanzlerin. Oppure dovrà sfidarla apertamente: lavorando a una nuova coalizione con i Liberali e i Grünen e sfiduciando apertamente la Cancelliera. Strada tentata nella storia della Repubblica federale appena due volte (nel 1972, con la fallita sfiducia costruttiva a Brandt, e dieci anni dopo con la sfiducia di Schmidt e l’elezione di Kohl: dunque mai all’interno del campo conservatore), seppur ipotizzata da Christian Lindner, Vorsitzende dei liberali.
Tutti i candidati parlano di ‘cesura’ e di ‘rottura’: in verità si tratta di parole evocate più per esorcizzare l’ingombrante figura della Kanzlerin che per declinare una proposta politica autonoma. Sono impegnati a prendere le distanze con l’attuale cancelliera e a promettere un cambiamento che, con tutta evidenza, ci sarà – perché uno di loro sarà eletto alla guida del partito – ma che nessuno sa dire quanto possa essere profondo e quale direzione assumerà. Al momento la discussione è dominata dalla questione dei rifugiati e delle politiche migratorie.
Kramp-Karrenbauer è la candidata in maggiore continuità con l’attuale gestione: presidentessa del Saarland dal 2012, si è dimessa nel febbraio di quest’anno per diventare segretaria generale della Cdu; ha un buon rapporto con la cancelliera e rappresenta il proseguimento naturale dei diciotto anni di Merkel. Fino ad oggi ha difeso le scelte del governo federale, ha risposto agli attacchi di Merz al governo definendoli ingenui e sta provando a far valere la sua esperienza in Saarland e alla guida del partito. La sua vittoria significherebbe una transizione morbida con il cancellierato di Angela Merkel e una collaborazione leale con il governo della Grande coalizione, nella convinzione, forse un po’ ingenua, che il governo della Mitte sin qui sperimentato, con alcuni accorgimenti, sia in grado di offrire risposte tanto ai cittadini tedeschi che alle sfide globali.
A Friedrich Merz è riuscito, inizialmente, un piccolo miracolo: presentarsi come il candidato del rinnovamento sebbene abbia ricoperto per anni incarichi di primo piano nella Cdu (eletto al Parlamento europeo nel 1989, è stato membro del Bundestag dal 1994 al 2009) e siede tuttora nei Consigli di sorveglianza di numerose multinazionali, tra cui la società di investimento BlackRock. Merz, che già nel corso della prima grande colazione ebbe dissapori con la cancelliera, ha iniziato la sua campagna martellando sulle questioni dell’immigrazione e dell’accoglienza e ha persino messo in discussione i fondamenti del diritto d’asilo.
In un articolo del 28 novembre sulla “Frankfurter Allgemeine Zeitung“ Merz ha ripetuto un ritornello classico: la scelta del 2015 ha generato paure e ansie, alle quali il partito non ha prestato orecchio. Da qui il successo di Alternative für Deutschland, che Merz intende sfidare sul suo stesso terreno: ecco perché ha scelto di parlare solo di quello. Un po’ poco, se si pensa che potrebbe essere il nuovo cancelliere: Merz non dice nulla sull’Europa o, meglio, sulla compatibilità tra potenza tedesca e ordine giuridico europeo («la Cdu deve fare in modo che le decisioni politiche in Germania siano assunte valutandone anche la compatibilità con gli interessi dei vicini europei»), sulla globalizzazione, sulle sfide lanciate da Donald Trump (il quale «genera dubbi sull’affidabilità del governo statunitense») sul ruolo della Germania negli anni a venire. Qualcosa in più si ricava dai libri che ha scritto: l’ultimo, del 2008, reca il provocatorio titolo Osare più capitalismo che storpia la celebre frase di Willy Brandt osare più democrazia, con la quale il cancelliere aprì la sua dichiarazione programmatica nel 1969. Cosa significa osare più capitalismo? Ricette vecchie e in gran parte scontate: privatizzazioni, meno intervento statale, tagli ai sussidi. Per radicalità delle proposte, Merz appare in questo senso davvero un elemento di rottura ma non con gli ultimi anni, quanto con il modello ordoliberale tedesco e con l’economia sociale di mercato (della quale Merz critica il ruolo dei sindacati e l’eccessivo costo del lavoro).
Meno favorito rispetto agli altri candidati, sempre secondo i sondaggi, è Jens Spahn, attuale ministro federale della Salute, che sino ad oggi ha tenuto un basso profilo, evitando gli accessi di Merz e promuovendo una riforma del partito innanzitutto generazionale, con un taglio più di destra di quello di Merkel e Kramp-Karrenbauer. Incarna il modello del conservatore contemporaneo: liberale sulle questioni relative agli omosessuali (ha votato a favore del matrimonio per gli omosessuali e rivendica le adozioni), ha posizioni estremamente dure sul contrasto alla povertà, sulla gestione dei rifugiati di Angela Merkel, sull’Islam.
I conservatori tedeschi non sembrano al momento capaci di definire chiaramente il ruolo della Germania in Europa e nel mondo, evocano paure (soprattutto Merz) oppure si richiamano alla necessità di governare i processi in corso (Kramp-Karrenbauer), ma non hanno idee su dove condurre il Paese. Parlano di un generico centro – la Mitte – senza però chiarire quale sia la sua natura, si affidano a formule logore e fanno riferimento ai valori cristiani senza però chiarire come essi possano essere ancora fruttuosi nell’attuale stagione politica. Evocano quasi insistentemente la volontà di discutere, di parlare di ogni genere di questione, di recuperare un rapporto con i cittadini. Disponibilità che senza un’idea, una proposta, una formula chiara, rischia di palesare tutta la vaghezza e l’inconsistenza dei tre candidati. Preoccupano certamente le questioni dell’immigrazione, ma nessuno dei tre candidati ha sino ad oggi provato anche solo ad articolare una discussione sulle sfide di essere e svilupparsi come Einwanderungsgesellschaft, sulle difficoltà di definire una cultura comune con i ‘nuovi’ tedeschi provenienti da altri Paesi, sulla frammentazione di un’identità nazionale e i relativi rischi. Tutti si risolve con l’idea di maggiore sicurezza, più polizia e controlli più severi.
L’argine al cosiddetto populismo – che per la Cdu si materializza soltanto nella vittoria di AfD e, cioè, come fenomeno esclusivamente politico-istituzionale e non sociale – è rappresentato da un partito che ascolta, che non pone limiti alla discussione, che affronta temi ‘scomodi’. La speranza per la Cdu è, dunque, di poter continuare a esercitare il proprio ruolo di fulcro del sistema politico una volta scomparsa, o indebolita, la rappresentanza politica del populismo.
È forse ingiusto attendersi troppo da questo congresso, che farà chiarezza su chi dovrà guidare la Cdu nei prossimi anni e che avrà un compito non facile, vista anche la necessaria coabitazione con la Cancelliera. Tuttavia, al momento il campo conservatore sembra dominato dalla paura e dall’ansia, dal nervosismo, per citare una riuscita definizione del II Reich di Bismarck. E con il nervosismo la Germania non andrà lontano, soprattutto se chiamata a esercitare anche un ruolo di guida in Europa.