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giovedì, 9 Ottobre, 2025
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Centro fuori campo: il puzzle della sinistra che esclude

Il campo largo resta prigioniero della sua identità radicale e populista. Senza un’anima riformista autentica, la sinistra non può attrarre l’elettorato centrista né proporre un vero progetto di governo.

Il voto nelle Marche e nella Calabria, i vari dibattiti parlamentari, l’organizzazione delle piazze, la presenza nei media e nei vari talk televisivi, i riferimenti politici più gettonati e in ultimo, ma non per ordine di importanza, il profilo e l’identità stessa della coalizione, ci portano ad un’unica conclusione. E cioè, il campo largo o, meglio ancora, l’attuale coalizione di sinistra e progressista, sono radicalmente estranei, esterni ed avulsi rispetto a tutto ciò che è anche solo lontanamente riconducibile al Centro e a ciò che storicamente lo caratterizza sotto il versante politico, culturale, sociale, valoriale e programmatico.

Non si tratta, cioè, di essere pregiudizialmente polemici o accecati dalla faziosità. La realtà è oggettiva e ormai lo confermano quasi tutti gli osservatori e i commentatori che su vari organi di informazione – tranne quelli che sono funzionali ad un progetto politico riconducibile ad una sinistra estremista, radicale e massimalista – individuano nell’assenza di un autorevole riferimento centrista l’anello debole dell’alleanza alternativa al centrodestra.

Lillusione della gamba di centro”

Il vero rimedio, però, non è quello di sommare alle attuali forze massimaliste, populiste, radicali ed estremiste anche una piccola “gamba di centro”. Che sarebbe quella ideata, progettata e pianificata a tavolino dal duo Bettini/Renzi. Perché quell’operazione, come tutti sanno del resto – ma proprio tutti – è solo un furbesco escamotage per ottenere una manciata di seggi parlamentari gentilmente concessi dai veri azionisti della coalizione.

Quello che conta, semmai e al contrario, come avveniva quando esisteva un centrosinistra riformista, plurale e di governo, è contribuire a dettare l’agenda politica e programmatica dell’intera coalizione. È sufficiente citare il Ppi di Franco Marini, Gerardo Bianco e Pier Luigi Castagnetti prima e la Margherita di Francesco Rutelli, lo stesso Marini e Arturo Parisi poi per rendersi conto che quel centrosinistra non era la banale e goffa riedizione – seppur mutatis mutandis – del “Fronte Popolare” di togliattiana memoria o della “gioiosa macchina da guerra” ideata da Achille Occhetto e compagni.

E questo perché l’attuale “campo largo” o larghissimo che sia, come viene concretamente percepito e soprattutto vissuto dalla pubblica opinione, è molto semplicemente l’unità delle sinistre.

Il riformismo non è più la premessa

Qualcuno potrebbe obiettare che i tempi cambiano e anche il profilo e la stessa identità delle coalizioni sono destinate a cambiare. E profondamente. Probabilmente è così, se è vero – com’è vero – che da una coalizione dove erano visibili e percepiti come tali un Centro riformista e di governo che si alleava con una sinistra altrettanto di governo e riformista, si è passati ad un cartello elettorale e politico dove l’aggregazione delle mille sfumature di rosso ha avuto il sopravvento rispetto a qualsiasi altro apporto e contributo politico e culturale.

Un Centro senza casa

Per queste ragioni, semplici ma essenziali, quel segmento della pubblica opinione che si riconosce in un progetto politico centrista, riformista e di governo oggi non può che guardare altrove oppure, e peggio ancora, astenersi dal voto. Come, del resto, puntualmente sta capitando.

Probabilmente, e in attesa che intervengano altri elementi innovativi che introducano una netta discontinuità rispetto agli attuali equilibri ed assetti politici, il prossimo confronto tra le rispettive coalizioni sarà ancora ispirato e coerente con i modelli conosciuti e ormai consolidati. E dovremmo prendere atto, piaccia o non piaccia, che il Centro sarà ancora scientificamente ed organicamente assente dalla coalizione di sinistra e progressista.