Continua il dibattito e il confronto sulla cosiddetta assenza del “centro politico” nel nostro paese. Anche se questo dibattito e’ accompagnato dalla volontà di molti partiti di occupare uno spazio politico tutt’oggi orfano di rappresentanza e di visibilità programmatica. Certo, e’ la storia concreta del nostro paese a dirci che la “politica di centro”, più che non un “partito di centro”, e’ stata la costante che ha caratterizzato la crescita e lo sviluppo della nostra democrazia parlamentare. E non solo perché per quasi cinquant’anni il partito della Democrazia Cristiana ha giocato un ruolo, e a lungo, protagonistico nello scacchiere politico italiano. “Un partito di centro che muove verso sinistra”, per citare una ormai celebre affermazione di Alcide De Gasperi. Ma era un partito che riuscì a coniugare una politica di centro essendo, di fatto, anche un partito di centro. Sia per ragioni nazionali e sia, soprattutto, per ragioni di natura internazionale. 

Ma questo, come tutti sanno, appartiene alla storia checche’ ne dicano intellettuali ed opinionisti che danno per scontato che se dovesse casomai tornare un sistema proporzionale quasi automaticamente riemergerebbe, coma una sorta di fiume carsico, una sorta di Dc, seppur rinnovata e corretta per l’uso domestico e contemporaneo. Ora, parliamoci chiaro. Di fatto siamo già in un sistema proporzionale perché per governare devi costruire le alleanze e le coalizioni – anche se con i governi Conte siamo entrati in una fase politica dominata dal trasformismo più spregiudicato – e, al contempo, si moltiplicano, purtroppo, i partiti personali o del capo che rivendicano una primogenitura e un ruolo specifico nella definizione dei vari accordi per il governo. 

Ecco perché quando si parla oggi del centro, di un partito di centro o addirittura di una politica di centro, non dobbiamo fare confusione. Per uscire dalla metafora, va detto con chiarezza che non possiamo confondere la tradizione politica e culturale del centro nel nostro paese con chi fa del trasformismo, della inaffidabilità e della improvvisazione la sua cifra politica di riferimento. Come si può definire il partito personale di Renzi come il partito del nuovo centro della politica italiana? O il movimento personale di Calenda? O, per restare nel campo del centro destra, il partito – o ciò che resta di quel partito – di Berlusconi può ancora essere etichettato come il perno attorno a cui ruota il centro politico, democratico e riformista nel nostro paese? Per non parlare delle decine e decine di sigle, movimenti e tentativi – peraltro clandestini e del tutto testimoniali – che si autoproclamano di fatto gli eredi esclusivi della grande tradizione democratico e cristiana ma che, purtroppo, sono accomunati dal progressivo, ripetuto, reiterato e quasi scientifico fallimento politico ed elettorale. 

Il centro, la sua tradizione, la sua cultura, la sua storia e il suo progetto politico non possono essere lontanamente paragonati agli attuali esperimenti politici ed organizzativi, prevalentemente di natura personale o proprietaria. Il centro continua, si’, ad essere evocato ed auspicato da più partiti e da più pulpiti giornalistici e politologici. Ma la sua traduzione politica ed organizzativa non può continuare ad essere confusa, lo ripeto, con la spregiudicatezza trasformistica da un lato o con l’improvvisazione e il tatticismo dall’altro. Perché il centro, è sempre bene ricordarlo, era una politica ed un progetto. Oggi, purtroppo, è solo tatticismo e posizionamento di potere. Appunto, l’esatto contrario.