Dunque, per costruire una alternativa politica e di governo all’attuale maggioranza o al futuro centro destra serve una coalizione plurale, credibile, riformista e realmente rappresentativa. Ma, soprattutto, serve una alleanza politica plurale. Ed è su questo versante che continuano ad esserci ancora troppe zone d’ombra e troppi equivoci. E’ appena sufficiente verificare come sono state costruite le varie coalizioni nelle regioni e negli enti locali riconducibili al centro sinistra per rendersi conto di una anomalia politica che continua a persistere tenacemente.
Ovvero, il Pd non ha ancora archiviato del tutto la cosiddetta “vocazione maggioritaria” del partito, che invece andrebbe consegnata al più presto alla storia. Un partito che viaggia tra il 15 e il 20% dei consensi a seconda delle varie realtà locali, non può più permettersi il lusso di distribuire le carte per dar vita ad una coalizione realmente alternativa rispetto agli avversari che si vuole combattere. Perché alla “vocazione maggioritaria” si è sostituita una singolare prassi.
Quella che prevede che il partito di maggioranza relativa, cioè appunto il Pd, decide a tavolino quali sono le formazioni che potenzialmente possono ricoprire le rispettive aree di sinistra, di destra e di centro della medesima alleanza. Insomma, l’eterno vizio della sinistra storica di essere attorniata dai cosiddetti “nani” politici che hanno il solo compito di obbedire alle indicazioni dell’azionista di maggioranza da un lato e di attendere, con pazienza e speranza dall’altro, di ottenere qualche briciola. Cioè qualche candidatura. Ora, e’ evidente a tutti che una simile impostazione non potrà per lungo tempo essere realmente competitiva sia rispetto al centro destra e sia verso altre formazioni politiche. Per una semplice ragione: una alleanza e’ credibile e competitiva solo quando rappresenta e, di conseguenza, intercetta, pezzi di società reali e interessi sociali fortemente insediati nella societa. Perché l’Ulivo, checche’ se ne dica e anche se la storia non si ripete meccanicamente, era realmente una alleanza politica, culturale e programmatica plurale e rappresentativa della società italiana in quel particolare momento storico.
Una condizione che, da molti anni, ormai è tramontata e che stenta a ritrovare una vera cittadinanza politica all’interno della potenziale alleanza di centro sinistra. Ma, per ricostruire una vera alleanza politica, plurale e rappresentativa servono almeno 3 condizioni: riconoscere sino in fondo il valore del pluralismo; ridare voce e visibilità alle culture politiche fondative del pensiero riformista italiano e, in ultimo, far sì che ogni cultura politica si strutturi e si organizzai in una forza politica vera e non finta. Ovvero, che risponda a criteri oggettivi e radicati nella società e che, come ovvio, non sia il frutto di una pianificazione decisa dall’alto dall’azionista di maggioranza. Solo così sarà possibile rendere competitivo il futuro centro sinistra.
Certo, il voto del 26 maggio non è affatto una variabile indipendente al riguardo. Dal peso elettorale dei singoli partiti dipenderà anche il processo di ristrutturazione dell’intero sistema politico italiano. E, in ultimo ma non per ordine di importanza, la necessita’ ormai improrogabile all’interno della futura coalizione alternativa al centro destra di dar vita ad un soggetto/partito/movimento di centro plurale che sappia raccogliere la miglior tradizione democratica e riformista del nostro paese. Senza questo rinnovato protagonismo politico, culturale e programmatico di un “centro democratico e riformista” l’ombra della vocazione maggioritaria e’ destinata a condizionare ancora il futuro e lo sviluppo del centro sinistra italiano nei prossimi anni.