La politica è ormai diventata un gigantesco megafono di rivendicazioni, slogan e promesse: tutti devono avere tutto, tutti hanno ragione, tutti devono essere blanditi e accontentati. Non c’è ambito della umana convivenza dove non si celebri l’unilaterale, parossistica, preconcetta, totalizzante rivendicazione dei diritti. Si tratta di una deriva planetaria, forse eredità della globalizzazione, ma persino il suo contrario perché si assiste al trionfo annunciato della soggettività a sua volta figlia del relativismo etico e persino del localismo, basti pensare che dopo due secoli impegnati a configurare un faticoso equilibrio di stabilità centrato sulle identità nazionali ora si sta sfaldando in mille rivoli il concetto di appartenenza: prevale un ibrido indistinto di pulsioni, una narrazione policentrica, la sovrapposizione di insopprimibili urgenze vitali che si scavalcano facendo saltare come birilli le tassonomie dei valori. In un quadro internazionale caratterizzato dal perdurare dei conflitti e dal perseguimento di un nuovo ordine mondiale sull’asse Cina-Russia, queste differenziazioni potrebbero essere fatali per le democrazie occidentali. Se l’Ottocento era impegnato a cercare la “parola nuova”, la porta della modernità, il Novecento si è speso nella faticosa definizione del senso dell’identità e si è affidato alle protesi compensative e sostitutive della tecnica e della scienza: sembra ora che il nuovo millennio sia come pervaso da una frenesia dell’annullamento e del negazionismo, i “no” prevalgono sulle certezze, le opinioni sulle idee, i passaparola sui ragionamenti, le pulsioni improvvise e soggettive scalzano le certezze consolidate, i luoghi comuni dei linguaggi circolanti nei social occultano le radici della storia e della cultura che stiamo abbandonando come un inutile fardello di cui fare a meno.
Si ascolta un urlo corale che proferisce un’unica parola: “diritti”. Di dissenso, di dissacrazione, di disgregazione, di solipsismo esistenziale: siamo ovunque, sappiamo tutto, siamo depositari di verità non negoziabili, di polarizzazioni inconciliabili. Ma anche di affrancamento da retaggi che ci hanno ingabbiati nel socialmente, politicamente, tradizionalmente corretto: c’è spazio per tutti, la differenza è un valore, l’identità una consapevolezza, ci stanno il corpo e l’anima, il cuore e la mente. È bene riflettere su questa esplosione di diritti: molti sono sacrosanti, poiché a lungo conculcati, altri esprimono forme di egoismo, di narcisismo individualista che confligge con le buone ragioni che sostanziano un’idea di democrazia dove davvero ci sia spazio per tutti. Uguaglianza, equità sociale, sostenibilità, rispetto per l’ambiente sono valori tendenzialmente aggreganti e altrettanto rivendicati e possono continuare a coesistere con questa incalzante stagione di crescita dei diritti individuali.
La democrazia dovrebbe costituire un approdo di garanzia per la tutela dei diritti. Quella occidentale è una democrazia delle minoranze, chiassose o silenti che siano. Ad esempio la pandemia ci ha trovati impreparati – come ammoniva David Quammen – ma non abbiamo ancora imparato che l’eziopatogenesi del virus nasce dal conflitto uomo-natura. Dovremmo esserne consapevoli anche quando la sovreccitazione che rivendica il situazionismo delle teorie sull’identità cangiante va oltre il desiderio delle unioni omosessuali: si tratta di scelte che vanno rispettate e tutelate dall’omofobia. Ben diversa cosa è la maternità surrogata, pretesa da chi professa l’emancipazione della donna, poi usa il suo corpo fatto strumento dell’egoismo altrui.
Si tratta di un mercimonio dei concepimenti che prelude a scenari inaccettabili. Quanto ai figli delle coppie omogenitoriali credo che molto dipenda dall’onestà di intenti e dalla nobiltà dei sentimenti: ricorda il tema delle adozioni per le quali è forse meglio lasciare abbandonati al loro destino questi figli di Dio o prendersene cura? Farli cresce in un orfanotrofio o sulla strada senza affetti, protezioni e sicurezze emotive, pregiudizialmente deprivati della pienezza rassicurante di una vita futura? Però non si può imporre un tema e farne oggetto di rivendicazione immediata: dal punto di vista di onesti aspiranti genitori è un desiderio che trova diritto di cittadinanza in un approfondimento serio e sereno tra istanze soggettive ed equilibri sociali e nella necessaria delicatezza di approccio.
Non è argomento da piazza, né da coreografie multicolori. Ma quanti possono a ragione e con competenza rappresentare ed esprimere i sentimenti dei minori? Parlano in loro nome ma partendo dalle proprie soggettive rivendicazioni. Nella mia esperienza di ascolto in sede giudiziaria posso dire con certezza morale che bambini e adolescenti hanno sempre espresso il desiderio di avere un padre e una madre ed esserne amati, di sapere cosa attendersi distintamente da loro, consapevoli della specificità dei ruoli genitoriali che esprimono una complementarietà difficilmente surrogabile in altre forme.
Soprattutto oggi, in una società che registra un vistoso declino della figura paterna. L’irrompere sulla scena politica di Elly Schlein ha imposto questo tema dei diritti individuali come priorità del Pd: quanto è lontano il richiamo di Berlinguer ai bisogni sociali delle masse lavoratrici? Quanto viene marginalizzato il contributo (pure fondativo) dei cattolici popolari negli argomenti, nei modi e nello stile comunicativo? Quanto il riformismo socialista? Bisogna pure aver consapevolezza della reciprocità tra diritti e doveri, la società prima o poi presenta il conto e non è necessario far ricorso alle analisi del Censis per capacitarsi di questa ineludibile corrispondenza.
Una leadership politica che promette diritti per tutti senza chieder conto dei doveri ricorda la deriva concessiva che ha reso in questi anni l’Italia il Paese dei bonus senza controllo. Come ha scritto Luca Ricolfi, il PD a guida Schlein assomiglia ad un partito radicale di massa (in una società signorile di massa) che postula diritti soggettivi senza aver chiaro un modello, una visione di società futura. “Non chiedete che cosa può fare il vostro Paese per voi, chiedete che cosa potete fare voi per il vostro Paese” (20 gennaio 1961, John Fitzgerald Kennedy). “Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere (23 giugno 1976, Aldo Moro). Nell’area culturale e nell’esperienza storica dei Democratici troviamo richiami autorevoli che indicano con chiarezza che la postulazione di diritti individuali non può essere disgiunta dalla consapevolezza dei doveri che ci competono.