Certezze dei Popolari? Restano al di qua delle nuove generazioni.

Una risposta a Merlo, con disincanto. Il Paese reale è lontano dal racconto che se ne fa abitualmente. E non essere più capaci di parlare ai giovani e giovanissimi dovrebbe farci disperare sul serio.

Al carissimo amico Giorgio Merlo che nel suo articolo di ieri su questo giornale – “Le tre certezze dei popolari” – individua le caratteristiche principali e fondamentali dell’essere popolari (quasi più simile ad una essenza dell’animo che una propensione morale) rispondo con il disincanto di chi vede e misura la distanza tra il Paese reale e quella cultura cattolica frutto delle visioni profetiche di Sturzo.

Ora il Paese reale, come molti altri Paesi, non è molto interessato ad esercitare il diritto di voto, che significa dover scegliere esercitando così la democrazia. Il dato dell’assenteismo nelle urne ha oltrepassato il 50% e si avvia a crescere. Il fenomeno non è solo del nostro Paese poiché attraversa il momento storico della cultura del XXI secolo, che non ama questo esercizio della democrazia ma sembra privilegiare la soluzione dell’accentramento del potere in una figura o in un gruppo ben identificato, riservandosi il diritto, democratico, di rovesciarlo se non più di gradimento.

In questo gioco del “preferisco buttarti giù dalla torre” piuttosto che perdere tempo aprendoti la porta ed invitandoti ad uscire, la democrazia elettiva non ha spazio o meglio diritto di esistenza. Tutto il ragionamento storico sulla cultura espressa dai cattolici popolari aveva il suo punto di ancoraggio nell’esercizio della democrazia elettiva, caduto questo ogni riferimento culturale diventa mero esercizio storico.

A ciò aggiungerei poi che questa cultura è stata espressione di più generazioni, ivi compresa quella dei boomers a cui io e Merlo apparteniamo; ora tuttavia la cultura dei giovani, ovvero di quelli che abiteranno il futuro –  non certo nostro ma loro – ha altri punti di ancoraggio. Una riflessione amara ed impietosa e però molto vicina alla realtà e misurata sulla partecipazione al voto dei diciottenni. Una realtà per la quale votare, oltre ad apparire un rito al quale ci si può sottrarre e a cui si è legati per il solo fatto di avere la cittadinanza, non esprime null’altro di significativo.

Concludere che i giovani sono senza una cultura e una morale di fondo non è giusto. Occorre solo registrare che i parametri di misurazione non sono più i nostri; e non essere più capaci di parlare ai giovani e giovanissimi dovrebbe farci disperare sul serio, se fossimo la classe politica che meniamo di essere, invece di perdere tempo con le molte, troppe coniugazioni dei popolari italiani.

Sturzo ci si sarebbe arrovellato le meningi per trovare il modo di parlare ai giovani del suo tempo. Allora noi, memori di Catone, prima di diventare come i personaggi di un film distopico, dovremmo lasciare ad essi lo spazio necessario, provando semmai ad ascoltare la loro voce per imparare quello che dicono, a modo loro.