Cesare ormai è rassegnato, la sua Cleo non diverrà una statista. E non perché alla regina manchi la brama e la stima di sé, ma perché la veduta visionaria di uno statista che proietta sé stesso e il suo Paese ben oltre il proprio tempo di vita terrena, manca proprio e non vi è modo di acquisirla.
Ascoltando il discorso che l’amata Cleo fa nel celebrare l’accordo con una delle provincie italiche più bisognose di risorse economiche e di rilancio, Cesare amaramente si accorge che è rimasta “capopopolo”: arringa, suade, accarezza, striglia, confonde le acque, sfugge i pericoli con la maestria del politico navigato, ma l’orizzonte è ancora quello che può vedere il suo occhio…cioè poco meno di un anno di navigazione per il mare aperto.
Non era quello che Cesare avrebbe voluto al momento della designazione della candidatura di Cleopatra, tra le regine che si erano rese disponibili e di alto lignaggio politico, ma quella giovane donna, piccola ma determinata con il cipiglio di chi orgogliosamente grida “sono una che ce l’ha fatta”, sufficientemente egoista da guardare prima a se stessa e ai suoi prima che agli altri del gruppo che Cesare le avrebbe affiancato. Sì, poteva essere la candidata giusta per rilanciare le asfittiche risorse dell’impero e l’immagine dell’ imperatore stesso.
Preparata con cura, la sorte si era incamminata verso il risultato scontato per cui era sta creata: affidare per un quinquennio alla regina Cleo le redini di una parte dell’impero, quella parte dove erano le radici stesse di Cesare. E il varo della nave, equipaggiamento e ciurma, era costato non pochi sesterzi, ben spesi e certamente sarebbero stati altrettanto ben ripagati. Dopo un anno e mezzo di navigazione, il capitano Cleo – l’amata Cleo – ha mostrato la scarsa indole dello statista a cui affidare prossime gloriose imprese nella conquista delle acque del mondo conosciuto. E sì che Cesare l’idea di ingrandirsi e di farsi “vedere” di più tra i grandi del mondo non l’aveva mai nascosto alla plebe, e questa, contenta, l’aveva plaudito come per un vate.
Ed ora davanti a quella regina che in un palco dove avrebbe potuto presentarsi da statista, seppure per mandato e forma di Cesare, per disegnare davanti alla plebe, che l’aveva vista scendere trionfante dalla sua nave, quel futuro per tutti loro, cui approdare dopo aver superato le mille traversie di un viaggio, beh…quel futuro non si era visto. L’orizzonte era nell’immediato un susseguirsi di “daremo, faremo, toglieremo e metteremo” che aveva rassicurato i locali sulla possibilità che delle cose proprie, per ancora un po’ di tempo, Cesare non si sarebbe occupato direttamente (e questo era un gran successo a dirla tutta).
E per Cleopatra la plebe aveva assicurato il plauso ad ogni alzata di tono, ad ogni suadente compiacimento per sé e per la ciurma tutta. Poi spente le luci, mentre piano piano scomparivano le parole dell’amata Cleo a Cesare, lenti alla memoria vennero alcuni passi dell’ode di uno sconsiderato dei poeti dell’impero, che per burla aveva messo a titolo “l’incontro de lì sovrani”.
Ched’è? chi se festeggia?
È un Re che, in mezzo ar mare,
su la fregata reggia
riceve un antro Re.
Ecco che se l’abbraccica,
ecco che lo sbaciucchia;
zitto, ché adesso parleno…
-Stai bene? – Grazzie. E te?
e la Reggina? – Allatta.
– E er Principino? – Succhia.
– E er popolo? – Se gratta.
– E er resto? – Va da sé…
– Benissimo! – Benone!
La Patria sta stranquilla;
annamo a colazzione… –
E er popolo lontano,
rimasto su la riva,
magna le nocchie e strilla:
- Evviva, evviva, evviva… –