I maniaci dei reperti offendono la storia della Dc

Dalla puntata di Report sulla Dc ci si attendeva qualche parola in più di chiarimento, assieme alla presa di distanza da quanti si dichiarano con molta disinvoltura i legittimi eredi della Balena Bianca.

La notizia di un incontro milanese sulla storia di un nobile partito come fu la Dc mi ha fatto ricordare la puntata di Report della scorsa settimana con un storia analoga. Su iniziativa dell’associazione “Città dell’Uomo” fondata da Giuseppe Lazzati, lunedì 19 febbraio si terrà infatti un incontro sul recente libro “Storia della Democrazia Cristiana 1943-1993”. Il libro è stato pubblicato nel novembre scorso per il Mulino, e curato da Guido Formigoni, Paolo Pombeni, e Giorgio Vecchio. Ne discuteranno Piero Bassetti, Mariapia Garavaglia, Giuseppe Guzzetti e Marta Margotti, moderati da Fabio Pizzul, presidente della “Fondazione Ambrosianeum”. 

Un libro sicuramente da leggere, anche per evitare distorsioni sul ruolo fondamentale avuto da questo partito nel piantare le radici della democrazia in Italia dopo venti anni di dittatura fascista, se non altro per placare le tante, diverse, spesso banali e superficiali iniziative sparse in Italia, tese a riproporne la presenza politica con lo stesso contrassegno. E soprattutto perché, come si legge nella descrizione del libro: “(…) a trent’anni dalla sua scomparsa, la definizione del ruolo della Dc nella storia d’Italia oscilla ancora tra la demonizzazione e il rimpianto, senza assestarsi in una equilibrata storicizzazione…”.

Sulla nostalgia, sul rimpianto, e sui diversi motivi del rimpianto vedremo dopo. Perché se e vero che la storia non si può rimuovere con facilità, è anche vero che l’identità di un partito si deve necessariamente storicizzare e collocare nel preciso momento sociale, culturale e politico in cui nasce, senza abbandonarla nelle mani del narcisismo nostalgico dei tanti simboli e contrassegni tenuti gelosamente sottochiave e serrati in cassaforte. L’esigenza indispensabile di un partito politico di ieri e di oggi, è certamente quella della sua identità. In certi casi anche quella dei valori che fanno parte del suo bagaglio culturale. 

Ora, queste esigenze non vanno risolte ricorrendo alla nostalgia o al “rimpianto”; o, peggio, perpetuando e moltiplicando ad libitum i simboli e i contrassegni del suo  nobile passato, pensando così di stimolare quel “centro” che fu l’ambito elettivo della Dc storica. L’identità di un partito è sempre una questione da contestualizzare; sempre cioè da comprendere e giustificare una volta che però si fa il leggero sforzo di calarla nella società concreta in cui questa identità è nata storicamente…come suggerisce un elementare metodo sociologico seguito e consigliato da don Luigi Sturzo. Unito al successivo sforzo, forse più complicato, di confrontarla con la società reale in cui il partito si trova a vivere e operare.  

Una società – la nostra attuale, per capirci  –  sottoposta a continue rivoluzioni epocali che Bergoglio ricollega  a un grande processo di “metamorfosi”, alludendo a una sua trasformazione integrale e strutturale. Se si deve confrontare con la storia che cammina, individuare bene l’identità di un partito non è ai nostri giorni un gioco da ragazzi. Specie se nelle mani di un solitario leader, aiutato oggi sino all’inverosimile dai  suoi media personali – privati e pubblici –  e dai suoi social ingannevoli. Questa identità è però necessaria, ed è indispensabile non solo per i governanti, ma anche per i governati.

Un partito dei nostri giorni non la può risolvere solo aiutandosi con un contrassegno del passato, per giunta di un passato sepolto o logorato dall’uso, proprio o improprio. Quando non dimenticato o  sconosciuto dalla generazione digitale. 

Le inaudite trasformazioni sociali e culturali sotto i nostri occhi – e non mi riferisco solo al tragico ritorno delle guerre, all’IA, al clima, ecc. – richiedono allora lungimiranza e coraggio. Pretendono sguardi nuovi rivolti al futuro già iniziato da tempo. E non fissi su quel passato “rimpianto” con nostalgia, ma che non potrà mai più ritornare. Emergono, insomma, novità che si devono necessariamente riflettere non solo sulla Weltanschauung di un partito, sui suoi programmi e sulle sue proposte, ma anche e sicuramente sulla collocazione politica che, ancora ai nostri giorni e di fronte ad una globalizzazione imprevista, tentano di fare individuare  le antistoriche categorie geometriche di Centro, Destra e Sinistra, con l’aiuto spesso degli intermezzi. Categorie da ridefinire totalmente, soprattutto per quel Centro, ormai plurale e personalizzato, che ancora oggi si cerca disperatamente in Italia, per sanare, si dice, un bipolarismo ammalato, tragico, populista, massimalista, radicalista, e…pericoloso. E, come spesso  si afferma, per portare alle urne elettori assenteisti. 

Lo sforzo richiesto sarebbe allora solo quello di fare ripetute analisi dei nuovi ceti elettorali e delle nuove classi sociali  sopraggiunti e presenti sulla scena della società italiana. Non escludendo, in questo caso, quelle analisi indispensabili sul cosiddetto voto cattolico. Anche se non si riesce mai a sapere e capire con precisione chi è  veramente il cattolico (se non quello che afferma di andare a Messa) e come distribuisce il suo voto, oggi prevalentemente indirizzato verso FdI, M5s e Lega. Un po’ , ma scolo un po’, ci aiutano sondaggi Ipsos di Nando Pagnoncelli.

Forse l’attuale e nota crisi identitaria dei partiti, rispecchia la stessa crisi identitaria degli elettori. Siamo di fronte alla figura di un nuovo elettore che sceglie di non partecipare al voto non solo per la mancanza di una specifica offerta, come molti sostengono, ma perché ha perso fiducia nella politica, nella classe dirigente, nel partito in quanti tale. A giudizio di molti studiosi, questa disillusione manda in crisi la stessa democrazia. Parliamo di un elettore al singolare, rinchiuso nel circuito dei propri interessi e dunque nella propria sfera privata; un elettore vagante, in preda alle emozioni e alle notizie false, e che in assenza dei vecchi e solidi partiti di massa, quando è presente al seggio fluidifica e rende liquido il suo voto da un’elezione all’altra.

Detto ciò, e ringraziando la presentazione del libro sui 50 anni della Democrazia Cristiana, devo a questo punto necessariamente ricordare un programma Rai di qualche settimana fa. Mi riferisco alla puntata di Report di domenica 5 febbraio trasmessa su Rai Tre (“Scudi Incrociati”). Una buona puntata sulla Democrazia Cristiana, dalla quale mi sarei solo aspettato qualche parola di chiarimento, assieme alla presa di distanza da quanti si dichiarano con molta disinvoltura i legittimi eredi. Un chiarimento onesto, che ho in qualche modo notato soltanto nelle condivisibili parole conclusive del suo conduttore Ranucci.

Ma perché dico questo ?

Perché l’inchiesta di Report è stata invero un poco impietosa. Ha mescolato episodi storici e fatti recenti che  nell’insieme hanno creato sconcerto e anche una certa ironia, in chi ha ricordi tutt’altro che nostalgici dello Scudo Crociato. E che sicuramente hanno lasciato la bocca amara per le sorti del simbolo di un grande partito, come è stato quello della Democrazia Cristiana. Anche se la narrazione è stata obiettiva ed onesta, specie nelle richiamate conclusioni di Ranucci, ciò che ha un po’ turbato è stato l’aver messo assieme argomenti contrapposti e fuorvianti, lontani tra loro dal punto di vista della seria narrazione storica e politica; e che perciò hanno suscitato una benevolenza ironica a riguardo di coloro, e sono tanti, tengono a dichiararsi suoi legittimi eredi e il cui contrassegno viene da essi conservato gelosamente, nonché spesso riproposto nelle varie tornate elettorali. 

Niente di male, intendiamoci. 

Se ci facciamo caso esiste ai nostri giorni  anche un Partito  Comunista che si trascina il simbolo della falce e martello sin dal 1921. Ma montati l’uno di seguito all’altro, questi argomenti hanno sicuramente creato confusione e reazioni di ripulsa nel telespettatore distratto. Una confusione che spinge ad una divaricazione impietosa  tra ciò che è stato e ha significato il vero partito della Dc, e coloro i quali, si ritengono allegramente e in maniera disinvolta i suoi legittimi discendenti. 

Diciamo le cose come stanno perché ancora ai nostri giorni esistono e sono presenti, nelle tornate elettorali, partiti associazioni e gruppi che non solo hanno lo storico Scudo Crociato come simbolo, ma che dichiarano di riproporre uguali programmi e scelte politiche di centro. E non solo i valori, su cui ci sarebbe forse poco da dire. Tutto questo accade in una società globalizzata e sotto una “rivoluzione epocale” – come la definisce sempre Bergoglio – dominata oramai dall’Intelligenza Artificiale e sottoposta quotidianamente  agli attacchi climatici e alle emigrazioni, e  quindi, in generale, con le catene di montaggio governate da un computer.  

Rispetto a tali “metamorfosi”, e per quanto si è sppreso dalla trasmissione, si ha pure a che fare con dei collezionisti di simboli di una importante tradizione, di cui si sentono unici e legittimi eredi, con la non tanto sottaciuta  convinzione che  possa ancora rinascere un grande partito centrista di massa, come è stato la Dc di De Gasperi. 

In questi 40 anni, e dopo che la Dc ha calato le saracinesche, i tentativi di riproporne il nome, il simbolo, e gli stessi valori non si contano. E una babele di lingue e di posture. Ci sono gli eredi del solo simbolo, tenuto ben chiuso nelle casseforti delle proprie teche amatoriali; e ci sono i collezionisti interessati che, in assenza di un regolare Congresso, dichiarano di essere i titolari non solo dello Scudo Crociato, ma addirittura della stessa Dc.

È da non credere, ma Ranucci è un giornalista serio e meticoloso, e si sarà sicuramente documentato. Sostiene infatti che in Italia sono vive e vegete circa 120 associazioni che si contendono non solo il contrassegno, ma anche il  velato intento di partecipare alla spartizione dei 500 immobili, in gran parte venduti dopo la scomparsa della Dc con l’obiettivo di risanare i debiti.

I collezionisti, com’è noto, sono persone  da  stimare per la loro caparbietà e pazienza. Eppure i 120 collezionisti dell’identico blasone nobiliare, quello dello Scudo Crociato, sono da valutare con rispettosa ironia e finanche con sarcasmo. Raccogliere oggetti antichi è sicuramente un impegno che richiede molta cura e dedizione. In effetti, il collezionista è spesso un innamorato degli oggetti che trova e poi conserva. Guai però a passare da maniaci! Non credo sia il caso di questi rispettabili e attempati ex democristiani. In ogni caso, il maniaco è colui che soffre spesso di patologiche tendenze alla solitudine, tipico caso di chi vive fuori dalla storia. L’importante è non offenderla, la storia.