L’inasprimento selvaggio dei dazi, varato in questi giorni da Donald Trump, ha innescato una sequela di risposte: immediate e di pari peso da parte di alcuni paesi, attendiste e concilianti da parte di altri, tra cui l’Italia.
Cinquant’anni di sviluppo e crescita per le due sponde dell’Atlantico non consentono alcun dileggio dell’Europa
L’America first, che avanza brutalmente nell’idea di un riscatto con cui vuole colmare decenni di “parassitismo” economico, commerciale e militare – iperbole mediatica con cui il presidente Trump ci ha etichettato – ha messo sul piatto le sue carte vagheggiando una nuova età dell’oro.
C’è, al fondo di tanta questione, una visione travisata del rapporto cinquantennale che l’Europa ha intessuto con gli Stati Uniti.
Intanto non può negarsi l’effetto positivo che sul percorso di una integrazione commerciale ha proiettato quell’unico grande mercato che il continente europeo ha saputo costruire e allargare ai paesi dell’ex cortina di ferro, che ambivano ad integrarsi all’interno di un modello di libero scambio di merci e persone, dentro la cornice normativa e monetaria dell’Unione Europea, anche se l’euro non è ancora la moneta di tutti i paesi aderenti.
Ed è indubbio che quella connessione commerciale ha consentito condizioni di sviluppo e di crescita economica nella reciprocità di politiche di impronta liberista, senza dubbio molto più a vantaggio degli States, mentre da noi si è via via persa quella visione umanista e solidarista che animò i promotori.
L’America first, un boomerang a cielo aperto per gli States
Eppure, nel inscenato trionfalismo di queste misure, mentre assistiamo disorientati al tanto virulento ed imprevedibile sconvolgimento dei mercati di tutto il mondo, emergono chiari segnali, dal tonfo delle borse delle capitali della finanza, che non faranno dormire sonni tranquilli al tycoon, sul reale impatto di questi provvedimenti che, più che tradursi in crescita economica negli States, saranno facile causa di una incipiente fase recessiva, mandando in frantumi il sogno della nuova età dell’oro.
Stando alle prime stime di questa aggressiva offensiva commerciale si prevede per l’Europa una riduzione del tasso di crescita del Pil di almeno uno 0,3%. Per l’Italia e la Germania, data la stretta connessione commerciale per via di un un solido indotto, soprattutto nel campo dell’ automotive, la riduzione si spingerebbe quasi ad un 0,4%.
Secondo diversi autorevoli commentatori, queste crociate commerciali sono un boomerang per Trump che rischia di scivolare, di grosso, su quegli stessi provvedimenti che anziché portare occupazione e produzione susciteranno conflitti e ecciteranno i nazionalismi latenti finendo per azzoppare pesantemente l’economia americana, a cominciare dal settore automobilistico che dipende molto dalla componentistica europea e di altri paesi.
Immaginabile soprattutto l’effetto dirompente in tutto il settore manifatturiero, con forti riduzioni di commesse e di volumi di affari e consistente compromissione del mantenimento dei posti di lavoro e della qualità di vita della classe media ed operaia: proprio quei ceti che sono stati i più convinti sostenitori della dottrina Trump.