Congresso Pd, la sinistra e i cattolici

La stragrande maggioranza di quell'elettorato e' scivolato su altri partiti andando ad ingrossare le fila di partiti antisistema

Il prossimo congresso del Pd assume una importanza non secondaria ai fini della ripartenza di un nuovo e rinnovato centro sinistra italiano. Una coalizione sostanzialmente distrutta dalla stagione del comando renziano dove una maldestra “vocazione maggioritaria” accompagnata da una volontà di onnipotenza del Pd aveva, di fatto, azzerato ogni sorta di alleanza.

E, di conseguenza, cancellando un tassello fondamentale della cultura democratica del nostro paese, cioè la cultura delle alleanze appunto. Ora, pare, si vuole invertire la rotta sin qui intrapresa e condivisa, va pur detto senza la solita ipocrisia di rito, dalla stragrande maggioranza di quel partito. Cioè da tutti coloro che sono stati turbo renziani per lunghi 4 anni e poi hanno scoperto, improvvisamente e misteriosamente, la necessità di cambiare pagina arrivando al punto di coltivare l’obiettivo di “derenzizzare” il partito.

La lista di questi personaggi, come sempre capita nella politica italiana, non è lunga ma addirittura lunghissima. Un nome fra tutti: l’ex sindaco di Torino Fassino. Ma, al di là di questo fisiologico malcostume, il prossimo congresso del Pd – almeno stando ai candidati che oggi appaiono più competitivi – rischia anche di essere una contesa tutta proiettata all’interno della sinistra. Ovvero, viene riproposta in termini aggiornati la storica dicotomia tra altri due veri leader della sinistra italiana, ovvero Veltroni e D’Alema.

Perché l’eventuale contesa tra Zingaretti e Minniti rientra in questa lunga e storica dialettica tra le rispettive posizioni politiche che hanno accompagnato l’evoluzione e il cammino della sinistra post comunista italiana. Un confronto, comunque sia, e seppur arricchito oggi da altre candidature “comparsa” – sempreche’ non ci siano altre novità, sempre possibili in un partito dominato da svariate bande interne – che però non cancella, giustamente, la vera posta in gioco per un partito come il Pd, oggetto di ripetute e continue sconfitte elettorali ed incerto sulla stessa prospettiva politica da intraprendere. Ovvero, come rilanciare la sinistra italiana.

Oggi. Perché di questo si tratta. Anche perché la stragrande maggioranza di quell’elettorato e’ scivolato su altri partiti andando ad ingrossare le fila di partiti antisistema e qualunquisti come i 5 stelle o di partiti sovranisti e populisti come la Lega di Salvini. Ma quello resta, comunque, l’obiettivo centrale del Pd di oggi, come giustamente sottolineano un po’ tutti i principali leader di quel partito.

E, nello specifico, i potenziali candidati alla segreteria nazionale del Partito democratico. Ed è proprio all’interno di questo contesto che si inserisce la necessità di ridare voce e rappresentanza anche ad altre culture politiche, altri filoni ideali che possono e devono rafforzare e affinare una coalizione alternativa al blocco sovranista, populista e antisistema.

Culture politiche che non sono riconducibili alla storia e all’esperienza della sinistra italiana ma che sono indispensabili e necessarie se si vuole ricostruire una alleanza riformista, democratica, plurale e con una spiccata cultura di governo. Ed è in questo contesto che si inserisce la necessità, ormai non più prorogabile, di dar vita ad un soggetto politico che richiami la tradizione e l’esperienza del cattolicesimo democratico, popolare e sociale nel nostro paese.

È perfettamente inutile pensare che il voto del 4 marzo è stato un semplice incidente di occorso. No, il voto del 4 marzo ha cambiato profondamente la geografia politica del nostro paese e se si vuole ridare fiato, voce e rappresentanza ad una coalizione che rilancia, seppur con venature e modalità diverse, il tradizionale centro sinistra, occorre prendere atto che un partito da solo, e cioè il Pd, non può certamente essere esaustivo ed esclusivo.

Il Pd, appunto, può e deve ritornare ad essere un partito capace di rilanciare e di riattualizzare il pensiero e la cultura della sinistra italiana. Sarebbe curioso, al riguardo, se dopo la litania che viene recitata un giorno sì e l’altro pure di recuperare l’elettorato della sinistra e una politica di sinistra si pensasse, dopo le ripetute batoste elettorali, di aggirare il nucleo centrale della questione: ovvero, ritornare ad essere un partito autenticamente di sinistra. Ecco perché è arrivato il momento per rilanciare, e recuperare, la fecondità e la ricchezza delle singole tradizioni e identità politiche e culturali.

Non per chiudersi in un recinto identitario ed autoreferenziale ma, al contrario, per ricostruire una casa riformista e plurale che, sola, può essere una vera alternativa democratica al blocco politico e sociale che ha vinto legittimamente le elezioni del 4 marzo. Alimentare ulteriori equivoci sarebbe del tutto innaturale e nocivo. A cominciare dal ruolo, dalla identità e dalla prospettiva politica che vuole percorrere il Partito democratico. Non più