Identità molteplici, fiducia ridotta
Il risultato della partecipazione al voto nelle ultime elezioni regionali non avrebbe dovuto sorprenderci. L’assenza dalle urne è un trend avviato da molti anni. Non ha stupito gli studiosi che indagano da tempo i motivi dell’astensionismo e che, tra le diverse cause, indicano la moltiplicazione delle identità in campo e la novità di partiti sempre più numerosi e personalistici. Un’offerta polverizzata che finisce per frastornare e sconcertare l’elettore.
Per chiarire con una metafora culinaria: molti chef, inseguendo i gusti emergenti, cercano nuovi piaceri mescolando ingredienti di ieri e di oggi. Credono che da un piatto antico “rivisitato”, o da uno nuovo adagiato su basi tradizionali, possa nascere un sapore migliore, gradito non solo ai buongustai. Sarà!
Così anche la storia politica cammina, trasformando gusti, opinioni e conoscenze, con la speranza di conservare alcuni sapori di fondo: valori, etica, responsabilità. Don Luigi Sturzo, con il suo realismo sociologico, ci ha avvertiti: il passato non torna più. Dobbiamo imparare a leggere la “società concreta” che abbiamo davanti, per viverla al meglio.
Una falsa idea di pluralismo
Esportando questa allegoria in politica, i molti “piatti” dell’odierno mercato partitico — nati dal rimescolamento di vecchie identità — sono tutti quei partiti e partitini personali, mediatizzati, che confondono gusti e idee. Frantumano l’offerta e ne svuotano il senso, ridicolizzando l’autentico significato del pluralismo: da ricchezza culturale e politica a somma di facce, nomi e autoproclamati leader.
Forse i motivi dell’assenza dalle urne stanno anche qui: in una presa in giro del pluralismo, che ingarbuglia e scoraggia l’elettore.
Disaffezione e volatilità del voto
Ho letto solo una presentazione. Comprerò il libro perché è interessante. Ma il recente lavoro di due noti sociologi, Renato Mannheimer e Gianfranco Pasquino — Gli italiani e il voto. Come e perché sono cambiate le scelte elettorali nel nostro Paese — aiuta a capire che, al di là del “girotondo” del voto, la disaffezione nasce anche dalla frammentazione dell’offerta.
I tanti partiti personali presenti non fanno altro che creare sfiducia e disorientare. Gli autori ricordano che i nuovi partiti nati dopo Tangentopoli hanno fatto tramontare le ideologie, ma nello stesso tempo hanno provocato la volatilità del voto: idee che non si aggregano più in appartenenze solide, ma fluttuano secondo l’opinione del momento, pilotata dai media, vecchi e nuovi.
Alla fine, tutto ciò alimenta l’astensionismo che registriamo:
uno starsene a casa che delega, rinuncia, si auto-esclude.
Una democrazia che scricchiola
Questo “restare a casa” mette in crisi la democrazia rappresentativa partecipata che abbiamo conosciuto per un lungo periodo, grazie ai partiti seri del dopoguerra — tra cui la Democrazia cristiana.
Ed è un restare a casa che apre la porta a ciò che chiamiamo, non senza inquietudine, post-democrazia:
un sistema fondato più sui mercati globali che sulla cittadinanza;
più sul leader “risolutore” che sulla comunità dei partecipanti.

