Democratici senza popolo? Biden rischia la sconfitta.

Le comunità afro-americane (non più, però, influenti come una volta) e latino-americane (al contrario, queste ultime in vertiginosa ascesa numerica), che tradizionalmente votano democratico, oggi appaiono maggiormente orientate verso Donald Trump.

Nonostante una situazione economica in generale assai migliorata dopo la crisi dovuta alla pandemia, la sensazione diffusa fra gli americani non è esattamente quella di chi vede roseo il proprio futuro. In questo contesto, il dato più preoccupante per il Partito Democratico e per il Presidente-candidato Joe Biden è che questa visione pessimistica è presente soprattutto presso i ceti popolari, quelli che in teoria – e molto spesso in pratica, anche nel 2020 – votano per loro.

Le comunità afro-americane (non più, però, influenti come una volta) e latino-americane (al contrario, queste ultime in vertiginosa ascesa numerica) che tradizionalmente votano democratico e che furono decisive per la vittoria di Biden quattro anni fa, oggi appaiono maggiormente orientate verso Donald Trump, nonostante il divario assoluto esistente, sotto ogni punto di vista, fra loro e il discusso tycoon miliardario e WASP (white anglo-saxon protestant).

Le motivazioni di questo disincanto delle minoranze verso il potere che dovrebbe tutelarle sono diverse. Di quelle non strettamente economiche si parlerà nel prossimo articolo, perché ora merita di evidenziare queste ultime. Non è bello a dirsi, ma la verità, anche quando è amara, anzi soprattutto se è amara e lontano dai propri convincimenti, va sempre ammessa, se si vuole comprendere davvero le ragioni di determinati eventi.

La ragione nello specifico fa rima con immigrazione. Non è un caso se nell’anno elettorale il Governatore repubblicano del Texas ha irrigidito ulteriormente le politiche di chiusura al costante flusso proveniente dal Messico, alimentato da migliaia di centroamericani che vogliono entrare illegalmente negli States, giungendo addirittura ad un conflitto sul controllo del confine con le autorità federali, che ne hanno la competenza. Ponendo così in ulteriore difficoltà un’amministrazione centrale già in difficoltà di suo sul tema specifico.

L’immigrazione di masse disperate disponibili per qualsiasi lavoro di manovalanza a qualsiasi prezzo (e in taluni casi, anche questo va detto, pronte a delinquere pur di sopravvivere e spesso andando a colpire proprio i ceti meno abbienti) inevitabilmente riduce la forza contrattuale dei salariati già presenti nelle fabbriche e nelle aziende di servizi operanti sul territorio americano. Su questo fronte, ovvero quello del controllo dell’immigrazione illegale, Trump appare più deciso e “duro” di Biden, anche perché non deve tenere in conto quell’anima sociale che al contrario è ben presente nel Partito Democratico. E siccome il problema tocca proprio i latinos ecco che questi – anche se ciò può apparire paradossale, essendo stati immigrati a loro volta in un tempo passato – svoltano verso i più securitari repubblicani.

Poi c’è la questione cinese. Ma non nel campo della geopolitica, ambito riservato alle élite, bensì in quello più “terra-terra” della concorrenza commerciale, tema assai concreto che interessa alle aziende statunitensi e ai loro dipendenti. I dazi imposti a suo tempo da Trump ai prodotti provenienti dalla Cina si sono rivelati abbastanza efficaci, tanto che questa forma di protezionismo è stata confermata da Biden. Ergo, fu una scelta giusta del precedente presidente, ragiona il lavoratore americano, e poiché quel presidente, che ebbe l’idea vincente e la pose in pratica, torna in campo perché non premiarlo?

Insomma, esiste un divario netto fra quanti sono in possesso di tutti gli strumenti culturali necessari per comprendere e interpretare le complessità del mondo globalizzato del XXI° secolo e quanti non li posseggono perché non hanno avuto la possibilità di studiare e dunque le proprie analisi le fanno sul campo, in maniera semplice e immediata nella vita di tutti i giorni. Vedono il prodotto made in China che sostituisce quello made in USA e temono per il proprio posto di lavoro. Vedono l’immigrato pagato il minimo e capiscono che il loro salario non crescerà. E questa sindrome colpisce anche i bianchi, i blue collar, operai che dal Texas al Michigan ancora sono numerosi e sempre più preoccupati di un futuro che si presenta minaccioso e richiede protezione. Tutti costoro sono pertanto facile preda del populismo più triviale, arte (si fa per dire) nella quale Trump è maestro.

Se questa popolazione, che fu alla base dell’imprevista vittoria di Trump nel 2016 ma che poi in larga misura lo abbandonò quattro anni più tardi, dovesse tornare a premiarlo – come i sondaggi paiono lasciar intendere – le possibilità di vittoria di Biden diminuirebbero significativamente. Eppure il vecchio Joe è costretto da fasce importanti del suo stesso partito a concentrarsi su altre questioni. Col rischio di non affrontare adeguatamente questa, che è basilare. It’s the economy, stupid.