Può sembrare a prima vista un ragionamento corretto. In effetti, vinte le elezioni europee, spetterebbe alla Lega indicare il candidato alla carica di commissario europeo. Secondo Di Maio, intervistato ieri dal Corriere della Sera, la soluzione più corretta non può che essere questa. Come dargli torto?
Sta di fatto che la Lega ha votato però contro la nomina di Ursula von der Leyen (Presidente della Commissione) e David Sassoli (Presidente del Parlamento). Un doppio no che isola il partito di Salvini e con esso il governo italiano. Si vede chiaramente, anche alla luce del recente colloquio a Roma della neo-Presidente con il nostro capo del Governo, come fatichi a profilarsi l’interlocuzione dell’Italia nel concerto europeo. La citazione di De Gasperi, solo in apparenza riconducibile a cortesia protocollare, può essere letta in funzione di un richiamo della Von der Leyen alla serietà mostrata in altre epoche dalla classe dirigente italiana.
Oggi, insomma, nulla è come ai tempi di De Gasperi. Il partito cardine dello schieramento giallo-verde mantiene una posizione aggressiva nei confronti dell’Europa. Salvini si colloca oramai alla destra del pur sovranista e illiberale Orbán. Del pari, l’asse di governo tra popolari, socialisti e liberal-democratici si dispone a fronteggiare l’offensiva smodata e velleitaria del leader leghista. Non è detto, in questo quadro, che un commissario designato da Salvini ottenga l’approvazione del Parlamento di Strasburgo. Anzi, il rischio della bocciatura incombe su una vicenda gestita con tanta superficialità e arroganza.
Che Di Maio, allora, si limiti a certificare le prerogative della Lega, lasciando ad essa il diritto alla nomina del commissario europeo, conferma ancora una volta la sua inadeguatezza politica. Questa maggioranza è divisa (anche) sull’Europa, dal momento che i parlamentari del M5S, a differenza dei colleghi leghisti, hanno votato per i due Presidenti (Von der Leyen e Sassoli). Come fa, dunque, Di Maio a ignorare che l’indicazione di un commissario recante il sigillo di Salvini rappresenterebbe un segnale a dir poco equivoco agli occhi delle forze europeiste, in ogni caso maggioritarie e quindi decisive nel contesto degli equilibri sovranazionali?
Di Maio sbaglia a coprire l’alleato in questa politica dannosa per l’Italia. La scelta del commissario europeo non può rientrare in una logica di mera spartizione di potere all’interno della maggioranza. Semmai la nomina dovrebbe incrociare, nelle forme possibili e senza pretesa d’ingerenze, anche il consenso delle opposizioni. In questo modo, evitando fratture radicali, l’immagine del Paese ne uscirebbe rafforzata. Ciò potrebbe contribuire, infine, a liberare il candidato prescelto dall’ipoteca rappresentata dall’ala antieuropeista dell’improvvisato blocco giallo-verde.
Il dubbio è se permanga un aliquota d’infantismo nella politica grillina o se l’opportunismo del suo Capo condizioni ogni larvato processo di maturazione. Prima o poi il Paese si dovrà interrogare seriamente sulla qualità di questa classe dirigente. La caduta di consensi attesta con ogni probabilità che il “sonno della ragione”, oltre che generare mostri, produce in modo inesorabile la faticosa consapevolezza dell’errore legato a una delega pregna di rabbia sociale e avversione vagamente anarchica.