Dibattito | Aspettiamo il fallimento della Meloni o riapriamo il gioco delle riforme?

Qualcuno dirà, trincerandosi abusivamente dietro il prestigio di Mattarella, che è giunto o sta per giungere il momento del capitombolo. Dunque, bisogna solo attendere? O non è meglio rilanciare un’intesa ragionevole sulle riforme?

La Meloni con la sua ambizione non conosce confini, per questo rischia di andare a sbattere subito dopo l’europee. Ma il rischio, in verità, è soprattutto per il Paese che lei oggi rappresenta. Fino a ieri, infatti, appariva legata strettamente alle sorti di Ursula von der Lyein, la presidente della Commissione europea, di suo bisognosa di aiuto, specie ora che è contestata all’interno del suo stesso partito (la tedesca Cdu).

Ebbene, rappresentando i conservatori europei, la Premier si era riservata un compito di supplenza, tollerando che Salvini approdasse all’estrema destra europea e però tenendolo al guinzaglio con la speranza che poi, dopo le elezioni, possano essere i suoi a farlo fuori. Non gli è bastata quest’ambiguità, per la quale l’Europa che conta già storce il naso, perché non desse a vedere di rincorrere da par suo l’estrema destra, contando sulla spaccatura del Partito Popolare Europeo e lanciando, al tempo stesso, un messaggio rassicurante a tutto il mondo conservatore. 

Non ha considerato che l’Europa ha un fattore unificante  che deriva dal pericolo di Putin, il quale punta a disarticolarla con le buone o le cattive, sicché tutte le forze sinceramente democratiche sono costrette a convergere ben oltre popolari, socialisti e liberali. Chiaramente la Meloni vuole fare il pieno di voti a tutti i costi, ma è già “osservata speciale” proprio per la formula del premierato elettivo, madre di tutte le sue battaglie. Sembra non accorgersi che proprio questa soluzione, percepita come il grimaldello di tutte le “democrature” alla Orbán, la qualifica negativamente per un che d’avventurismo politico e ideologico, in sé propriziatorio dell’uomo solo al comando. 

Qualcuno dirà, trincerandosi abusivamente dietro il prestigio di Mattarella, che è giunto o sta per giungere il momento del capitombolo, per cui appare inevitabile il ridimensionamento delle sue ambizioni, italiane ed europee. Certo, non è uno scenario da escludere; però resta sempre in piedi l’altra ipotesi, quella dell’auspicabile convergenza – non politica, ma istituzionale – su una riforma costruita bene, scegliendo tra i sistemi già sperimentati in Europa.  Ne esistono due in grado di soddisfare i criteri di stabilità ed efficenza dell’Esecutivo, e sono nell’ordine: il cancellierato alla tedesca, con la sfiducia costruttiva contro le imboscate parlamentari, o il modello francese delle due distinte autorità, tutt’e due con legittimazione popolare, che obbliga all’occorrenza il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio, ove i numeri non stabiliscano l’esistenza di una maggioranza chiara, alla cosiddetta “coabitazione” per evitare il rischio di paralisi dell’attività di governo.

Dopo il 9 giugno servirà pertanto una dose massiccia di buon senso, se non vogliamo che la lotta politica si consumi nella perversa dialettica delle pregiudiziali, minando in realtà la fiducia dei cittadini nella capacità dell’intera classe dirigente di guardare all’interesse generale del Paese.