Il voto europeo ci ha consegnato alcuni trend elettorali, e quindi politici, da cui non si può banalmente sfuggire. A cominciare dalla riaffermazione del bipolarismo, frutto e conseguenza di una possibile e fisiologica democrazia dell’alternanza. Certo, l’auspicio è che si tratti di una democrazia dell’alternanza che non sia brutalmente muscolare o dettata da una reciproca volontà di delegittimazione morale e politica. E questo perché una simile impostazione non contempla affatto un confronto politico ricco e fecondo ma solo e soltanto la volontà di annientare l’avversario/nemico.
Ora, attorno al cosiddetto “Campo largo” o “Fronte popolare” che sia, si può essere anche sarcastici o polemici. Ma è indubbio che si tratta di un progetto sufficientemente chiaro ed inequivoco che merita rispetto e che non può essere banalmente contestato. Si tratta, cioè, di una coalizione della sinistra progressista che unisce in un blocco elettorale le tre sinistre che sono attualmente in campo: quella massimalista e radicale della Schlein, quella populista e demagogica dei 5 Stelle e quella estremista e fondamentalista del trio Fratoianni/Bonelli/Salis. Il tutto cementato da una forte convergenza culturale, ideale e forse anche etica che fa di questo neo ed inedito “Fronte popolare” una coalizione sufficientemente omogenea e compatta.
Il giustizialismo, tra l’altro, è uno dei collanti ideologici decisivi di questa alleanza come, sul versante economico e sociale, l’assistenzialismo e la creazione di ulteriore debito pubblico. Ma è proprio sul versante culturale, e oserei dire quasi prepolitico, che si registra un “comune sentire” fra le tre sinistre e la volontà di non allargarsi ad altre realtà se non per darle quello che comunemente viene definito “diritto di tribuna”. Ovvero, una manciata di seggi parlamentari per confermare, almeno formalmente, che la coalizione è plurale. Ed è puntualmente ciò che avviene con i partiti personali di Matteo Renzi e di Carlo Calenda. Insomma, tutto ciò che è riconducibile anche solo lontanamente al Centro, e quindi alla tradizione, alla cultura e al pensiero di marca centrista, da quelle parti è semplicemente fuori luogo e fuori tempo.
Sul versante opposto, ovvero su quello della coalizione di centro destra, è arrivato invece il momento decisivo per rafforzare e consolidare un forte, spiccato e visibile partito di Centro. Un luogo politico che sia in grado di guidare politicamente l’intera alleanza sganciandola dal condizionamento culturale del sovranismo, in qualunque forma si manifesti. Un’operazione che si può tranquillamente mettere in campo perchè il Centro, su questo versante, non è ideologicamente e culturalmente avversato come, invece, avviene nel campo progressista. Che, non a caso, parla della necessità di ricostruire un “Fronte popolare” contro il nemico giurato ed implacabile seppur dopo il fallimento dei due precedenti storici: ovvero nel 1948 con Palmiro Togliatti e il Pci dell’epoca e quello del 1994 guidato dal post comunista Achille Occhetto, con l’ormai famosa e celebre “gioiosa macchina da guerra”. Certo, si tratta di un’operazione né semplice e né facile ma possibile e soprattutto praticabile perchè non ci sono, al riguardo, preclusioni di natura ideologica, culturale e men che meno di natura politica.
Ecco perché, seppur in un contesto ancora alquanto confuso e frastagliato, la concreta evoluzione del dibattito politico dopo il voto europeo e alla vigilia delle prossime elezioni regionali, ci offre anche l’opportunità per affrontare con maggior chiarezza il cammino di chi continua a credere, malgrado tutto, che nel nostro paese è quantomai decisivo ed importante ridare voce e sostanza al Centro e ad una vera e credibile “politica di centro”.