Non posso fare a meno di provare un certo senso di tenerezza per Elly Schlein, che cerca affannosamente di rincorrere Giuseppe Conte ogni volta che questi si sfila dalle alleanze locali. Schlein sa bene che l’unica speranza di ribaltare il centrodestra risiede nell’unione di tutte le forze di opposizione, un fronte che con la sua compattezza non lasci margini di manovra alla destra. Eppure, Conte si nasconde dietro un dito, mettendo veti e ponendo ostacoli, come nel caso del rifiuto di Matteo Renzi in Liguria. Un pretesto, nient’altro: un espediente che nasconde la sua reale strategia, ovvero mantenere una distanza di sicurezza dal Partito Democratico, senza tuttavia rompere definitivamente.
Ma c’è dell’altro, sicché il vero intento di Conte appare più oscuro e complesso. È evidente che coltiva un sogno-incubo, un’ambizione segreta che si alimenta della possibilità che Matteo Salvini, in un eventuale scenario di crisi, possa correre in suo soccorso, diventando il partner con cui orchestrare un improbabile ritorno al potere. Quella del leader dei 5 Stelle sembra essere una partita a scacchi in cui ogni mossa è studiata per massimizzare il suo vantaggio personale, anche a costo di minare l’unità del campo progressista.
Nel frattempo, non è un mistero che Conte stia lavorando per consolidare il proprio potere all’interno del suo partito. Sta lentamente, ma inesorabilmente, allentando la presa di Beppe Grillo, adottando un approccio graduale e misurato per evitare un’emorragia di consensi. Non vuole rischiare di perdere il sostegno della base, e per questo agisce con una cautela quasi chirurgica. Questo processo di “razionalizzazione” del suo potere è accompagnato da un posizionamento sempre più ambiguo a livello europeo, dove flirta con posizioni estreme, cercando disperatamente di distinguersi sia dalla destra sia dal Partito Democratico, alla ricerca di una propria identità che non sia meramente subalterna.
Ma c’è un ulteriore paradosso che rischia di emergere: se questa ambiguità strategica dovesse perdurare, il primo conto da pagare gli verrà presentato proprio dal suo partito. Una buona parte della base del Movimento, infatti, manifesta ormai apertamente il desiderio di rappresentare una reale alternativa al centrodestra, anche alla luce – si badi bene – della crescente autonomia di Forza Italia nel versante opposto. Comunque la pazienza non è infinita, e presto o tardi Conte dovrà scegliere da che parte stare.
Schlein, dal canto suo, potrebbe fare molto per togliere a Conte ogni alibi e costringerlo a misurare il proprio isolamento. Come? Andando oltre la presunzione che la leadership del fronte progressista spetti di diritto al partito maggiore. Potrebbe proporre un percorso più democratico e partecipativo, come quello delle primarie di coalizione. Del resto, è ciò che lei stessa ha già sperimentato all’interno del PD, dimostrando che il ruolo di leader deve essere guadagnato sul campo e non assegnato per semplice aritmetica politica.
In questo modo, Schlein potrebbe non solo sfidare Conte a mostrarsi per ciò che realmente è, ma anche restituire al campo progressista quella vitalità e quel senso di partecipazione collettiva che sembrano essersi smarriti. Solo attraverso un percorso autentico e condiviso potrà nascere un fronte in grado di rappresentare una vera alternativa, capace di ridare speranza a un elettorato che, oggi, si sente troppo spesso abbandonato o tradito dai giochi di potere.