Credo siano in molti a sperare che quanto successo in occasione della formazione delle alleanze per le regionali della Liguria circa il posizionamento di uno dei partiti di centro, sia l’ultimo episodio di un modo di intendere il centro che lo ha reso progressivamente ininfluente, rischiando di comprometterne la credibilità, sia rispetto all’eredità del suo passato che rispetto al suo ruolo per il futuro.
Non basta però sperare. Occorre anche domandarsi che cosa si può fare per rendere nuovamente feconda e adeguata alle sfide del presente una politica di centro, nella pluralità delle scelte politiche. Tenendo conto del fatto che il sistema politico nel suo insieme sembra adagiarsi sulla semplificazione e sul restringimento della partecipazione alla vita politica.
Non solo in Italia, ma anche nelle altre democrazie occidentali, sta emergendo il fatto che il solo funzionamento formale delle procedure democratiche di legittimazione del potere, elemento di fondamentale e imprescindibile importanza, risulta necessario ma da solo non sufficiente al mantenimento della stabilità, se non è accompagnato da processi sostanziali di promozione della persona umana, a prescindere dalla sua classe sociale di appartenenza, e da processi di sviluppo, di allargamento della classe media, di riduzione delle disuguaglianze sociali e di risoluzione delle controversie internazionali per via diplomatica. Che sono i compiti che la Costituzione assegna alla nostra Repubblica.
In questa prospettiva credo che una politica di centro per il presente debba confrontarsi con almeno tre ordini di problemi, sui quali impegnarsi tra le difficoltà e le resistenze che presentano le forze politiche attuali.
Il primo problema è come cercare di sopperire allo squilibrio causato da decenni di esaltazione dell’ “uomo solo al comando”, di personalizzazione della politica e di artificiale semplificazione della politica attraverso le leggi elettorali. La partecipazione è la vera vittima di una retorica bipolarista che negli strati più popolari ha finito con l’essere percepita come un eterno ritorno fra uguali nella distanza dalla società e nella vicinanza agli stessi e medesimi salotti.
Il secondo problema, allora, è come ricomporre un equilibrio, innanzitutto riannodando i fili della rappresentanza attraverso una idea di politica che evidenzi l’interdipendenza fra i gruppi sociali, fra i territori fra tutti i livelli istituzionali, da quello locale a quello planetario.
Il terzo ordine di problemi cui cui, a mio avviso, deve misurarsi oggigiorno una politica di centro credibile e culturalmente ben organizzata è quello che attiene al futuro. Solo un centro capace di trasmettere un messaggio che evochi delle mete da raggiungere, capace di rassicurare e fare luce fra le ansie e i timori che serpeggiano nelle famiglie come nelle imprese, come fra i giovani sull’avvenire, potrà mettersi in sintonia con quei ceti medi e popolari che in buona misura si sono rifugiati nell’astensionismo o che sono stati ingannati dalle sirene degli opposti populismi.
Gli spazi per declinare una tale politica di centro nei partiti esistenti ci sono, insieme a ostacoli di vario tipo. Sta a chi crede di poter dare voce ancora al centro, praticarli, incalzando il partito in cui si trova ad aprirsi al futuro anziché dargli l’impressione di dover imbarcare una non si sa quanto utile zavorra. Mettendo così fine a una stagione non esaltante, fatta di frammentazione, liti, personalismo esasperato, giravolte sul filo del grottesco, della quale c’è da augurarsi che la presentazione delle liste per le elezioni in Liguria abbia costituito l’episodio finale.