L’appetito vien mangiando e allora vale la pena consigliare di mettersi a dieta, alla Meloni, perché se il premierato dovesse pur passare alle Camere sarà impallinato dai suoi alleati nel referendum confermativo, e non potrà far finta che non è successo niente.
Pensare di entrare nelle comunità locali a vele spiegate è un altro dei suoi errori, specie quando il livello è quello regionale. Perché qui lo scontro diventa costituzionale ed è ragionevole una rivolta da parte delle regioni per incostituzionalità. Ora sono solo quattro su sette le regioni che hanno ottemperato all’obbligo per legge nazionale di adeguarsi ai due mandati consentiti nei comuni. La ragione è lapalissiana perché qualcuna ha derogato senza opposizione alcuna di natura giuridica.
Infatti in forza dell’autonomia statutaria, fondata sul potere legislativo, ogni regione in primo luogo disciplina se stessa in tutte le sue forme, sicché se ci fosse un’emergenza bisognerebbe operare con legge costituzionale.
Verificato che nessun limite ai mandati consecutivi esiste per il Capo dello Stato e del governo, la prassi si è incaricata per ben due volte di vedere riconfermato il Presidente uscente, e quindi potenzialmente per 14 anni, pari quasi a tre mandati sul piano regionale.
Il fatto si lega alla longevità e alla maggiore tenuta psicofisica. Perché questa discriminazione, allora, verso il personale politico delle autonomie locali? Ci stiamo incamminando dalla legittima vocazione maggioritaria di chi vuole guidare il Paese col consenso popolare alla “avocazione maggioritaria”; una soluzione politica in dispregio del consenso popolare come avverrebbe, per fare degli esempi, in Veneto in Campania e, per citare un comune, a Bari: in tutte e tre le situazioni in presenza di maggioranze assolute. Se non è barare, questo!