Nei giorni scorsi abbiamo osservato delle scosse di terremoto nei partiti del così detto ex Terzo Polo. Le uscite sono diverse e importanti e per certi versi erano anche attendibili, visto la frattura tra i due leader dei partiti personali che componevano la lista e il posizionamento un po’ più a sinistra di IV e un po’ meno a destra di Azione.
Erano meno attendibili e sicuramente meno gradevoli i commenti di alcuni esponenti di uno di questi due partiti alle uscite che viveva l’altro e viceversa. Era come assistere ad un litigio tra bambini. Queste baruffe sembrano seguire una logica “mors tua, vita mea”, cieca e inconcludente. Anche perché si parla di un’ulteriore frammentazione di un’area politica che ormai è ridotta in macerie nanometriche.
Al contrario, sarebbe preferibile un percorso inverso di aggregazione che, forse, gli attuali leader non sembrano in grado di portare avanti, alcuni per discutibili rivalità personali, altri per impossibilità di rappresentare tutte le variegate anime dell’area. Un dato di fatto però sembra accumunare tutti questi movimenti. Nell’attuale sistema bipolare e maggioritario, non c’è spazio per un polo centrista autonomo e indipendente, o, anche se ci fosse, questo spazio non sarebbe capace di incidere poi nell’attività politica e sull’agenda di governo. I centristi, quindi, o se volete i portatori di idee e istanze cattoliche, liberali e riformiste si trovano di fronte alla sciagurata scelta di decidere se andare a destra o sinistra.
È inutile edulcorare la situazione, è evidente che nei programmi di entrambe le coalizioni (ammesso che si possa definire tale l’alleanza tra PD e M5S), ci sono dei punti che alimentano le distanze tra noi e gli altri. Faccio alcuni esempi. Con il centrodestra, se è vero che ci sono delle affinità su temi come la giustizia e alcune infrastrutture, ci sono dei forti dissensi in merito alle riforme istituzionali come il premierato o l’autonomia differenziata che rappresentano una fortissima priorità per il Presidente del Consiglio. Esistono poi delle vistose differenze sulla tassazione degli extra profitti delle banche o sul diritto di cittadinanza e l’immigrazione. Tanto che il presidio centrista e moderato della coalizione meloniana, nonostante un’estate di forte sponsorizzazione dell’introduzione dello ius scholae, appena ha avuto l’occasione di votare a favore, si è schierato contro per paura di irritare gli alleati di governo.
Così come sulla tassazione degli extra profitti, uno dei fondatori di FdI ha sfidato FI chiedendo se difendessero interessi particolari. Come se sulla questione non si possano avere idee differenti. In questo contesto, mi chiedo: siamo sicuri che una Forza Italia così influenzata e vincolata dagli alleati di destra possa rappresentare l’unico approdo per noi centristi?
Se Sparta piange, Atene non ride. Impossibile non notare infatti che uguali distanze si ritrovano anche con i programmi della coalizione di sinistra. Si pensi per esempio alla possibile introduzione di una tassazione patrimoniale o alla reintroduzione del reddito di cittadinanza o alle battaglie giustizialiste portate in piazza a Genova (qui c’è da dire che se l’esempio è la Liguria, anche nel centro destra, a detta dello stesso ex governatore Toti, nessuno si è stracciato le vesti in nome del garantismo).
C’è però una differenza sostanziale. Il centro destra è una coalizione già formata, con un programma condiviso e una squadra di governo che si è mostrata restia ad aprirsi ad una classe dirigente diversa da quella formatasi all’ombra del Colle Oppio. Il centro sinistra, per ora, non esiste, non c’è una coalizione, non c’è un programma di governo condiviso: c’è solo il tentativo del PD di voler costruire una rete di alleanze.
E qui torniamo al punto di partenza, il PD è chiamato a decidere se vuole costruire solo una coalizione di sinistra con M5S e Avs, senza il supporto delle idee centriste, o creare un’alleanza di centro sinistra accogliendo anche le proposte politiche cattoliche, liberali e riformiste. Se il PD sceglierà la prima strada allora buona fortuna, sicuramente gratuitamente non otterrà molti nostri voti; al contrario, se dovesse scegliere la seconda opzione, allora sarebbe il caso di aprire il prima possibile tavoli programmatici comuni per costruire un percorso di riavvicinamento non facile tra tutte le forze che dovrebbero partecipare al progetto.
All’on. Schlein converrebbe compiere questa mossa anche perché una semplice coalizione di sinistra, non allargata al centro, difficilmente potrebbe essere competitiva con il centro destra. Questo è il motivo per cui una negoziazione tra mondo centrista e sinistra potrebbe essere più vantaggiosa.
Ovviamente la stessa mossa potrebbe essere compiuta dal Presidente Meloni, tuttavia avendo una compagine già strutturata potrebbe avere meno incentivi a rimettere tutto in discussione, a meno che, sia per evitare che il centro si possa saldare con la sinistra, sia per rafforzare la sua immagine di premier atlantista (sull’Ucraina per esempio) e attenta al futuro delle istituzioni europee (con la scelta di un commissario democristiano come Fitto), non voglia sostituire un alleato riottoso e troppo estremista con una classe dirigente capace e preparata e con elettori saldamente ancorati agli ideali liberali dell’Occidente.
Si tratta di capire se una delle due esponenti politiche vorrà fare questa mossa e nel caso chi la farà per prima. Nel caso in cui fosse la leader del PD, allora avrebbe reali chance di sedere un domani a Palazzo Chigi, nel caso in cui fosse la leader di FdI, allora aprirebbe una nuova stagione di successi e di stabilità non effimera per il centrodestra. Chi prima arriva meglio alloggia.