Dopo la mattanza del 7 ottobre 2023 si è parlato sempre più spesso di diritti sulla proprietà di una terra che per millenni è stata martoriata. Hamas, colpevole di atrocità, si basa su uno statuto che invoca la jihad (lotta armata) contro lo Stato di Israele, la scomparsa dello Stato ebraico e l’istituzione di uno Stato islamico palestinese. Insomma, pensa che l’ebreo non ha diritto di vivere nel suo Stato. Stato oltretutto che ha cittadini di diverse confessioni religiose, ne sono un esempio i 2 milioni di arabi che lì vivono.
Ma Hamas non è l’unica a pensarla in questo modo; sempre più intellettuali, anche europei o di religione ebraica, si schierano contro il sionismo, anche se con termini più gentili e, ad una prima occhiata, più accademici.
Questo metodo denigratorio, demonizzante e di ingiuria politica verso lo Stato di Israele cos’è se non il vecchio antisemitismo mascherato da intellettualismo finto?
Israele è colpevole perché esiste. Non si guarda al processo nazionale di cui è espressione, alla storia della sua formazione e al suo sviluppo. Martin Luther King affermava: “Cos’è invece l’antisionismo? È il negare al popolo ebraico quel diritto fondamentale che giustamente oggi riconosciamo ai popoli dell’Africa e che siamo pronti a concedere a tutte le altre Nazioni del mondo. Si tratta, amici miei, di discriminazione contro gli Ebrei, a causa della loro ebraicità. Si tratta, cioè di antisemitismo. L’antisemita gode di ogni opportunità che gli consente di esprimere il suo pregiudizio. Al giorno d’oggi però, in Occidente, proclamare che si odiano gli ebrei è diventato molto impopolare. Di conseguenza, l’antisemita deve costantemente inventare nuove forme e nuove sedi per il suo veleno. Deve camuffarsi. E allora non dice più di odiare gli Ebrei, ma solo di “essere antisionista”.
Nel 1988 un Documento del Pontificio Consiglio per la giustizia e la pace su La Chiesa e il razzismo osservava che “l’antisionismo – che non è dello stesso ordine, poiché riguarda lo Stato d’Israele e la sua politica – serve talvolta come uno schermo per l’antisemitismo, alimentandolo e portando a esso”.
Ma per meglio capire bisogna porsi alcune domande. Ma come è nato il Sionismo? Se si procede a ritroso nel tempo, alla fine dell’800, il popolo ebraico si è posto l’obiettivo di creare una Patria per tutti coloro che non si sentivano sicuri a vivere in Europa. E quale posto migliore della terra storica del popolo ebraico? Terra che non ospitava uno Stato arabo, bensì un lembo dell’impero turco, a cui sarebbe seguito un mandato britannico.
Così, già nel 1870, a nord di Jaffa, venne fondata la scuola agricola Mikve’ Israel da cui poi germogliò la moderna Tel Aviv. Terra acquistata dal Fondo Nazionale Ebraico (Keren Kayemet LeIsrael).
Ma perché volevano tornare proprio in quei luoghi e perché quella terra si chiama Palestina? La risposta è semplice. Una serie di regni e Stati ebraici ebbe vita nella regione per oltre mille anni a partire dalla metà del II millennio a.C. Ricordiamo per brevità il Regno di Israele distrutto nel 722 a.C., anno dell’invasione assira, e il Regno di Giuda (distrutto nel 586 a.C. dai Babilonesi).
Fu, però, l’imperatore Adriano a cambiare nome alla Provincia Iudaea chiamandola Provincia Syria Palaestina, dove Palaestina deriva dal nome biblico Phelesht[1] (in ebraico פלשת Pəléšeṯ, italianizzato in Filistea o Filistei), territorio costiero in origine abitato da una popolazione probabilmente indoeuropea affine ai Greci.
Ma chi erano e dove vivevano i filistei? Parliamo di un antico popolo, presente nel bacino del Mediterraneo, che abitò la regione litoranea della terra di Canaan, pressappoco fra l’attuale Striscia di Gaza e Tel Aviv.
Un’opera egiziana redatta intorno al 1100 a.C., l’onomastico o “Insegnamento di Anenemope”, documenta la presenza dei “Peleset” sulla costa palestinese, nei luoghi che la Bibbia descrive come abitati dai Filistei. Dopo la sconfitta subita dal faraone Ramses III, infatti, questi ultimi, insieme ad altri Popoli del Mare, sarebbero stati autorizzati a stanziarsi in tale territorio, comunque sottoposto al dominio egiziano.
Zuhayr Muhsin, guerrigliero palestinese morto nel 1979, dichiarò: “Il popolo palestinese non esiste. La creazione di uno Stato palestinese è solamente un mezzo per continuare la nostra lotta per l’unità araba contro lo Stato d’Israele. In realtà oggi non c’è differenza tra giordani, palestinesi, siriani e libanesi. Oggi parliamo dell’esistenza di un popolo palestinese per ragioni politiche e strategiche poiché gli interessi nazionali arabi richiedono che venga assunta l’esistenza di un distinto “popolo palestinese” da opporre al sionismo. Per ragioni strategiche, la Giordania, che è uno stato sovrano con confini ben definiti, non può vantare diritti su Haifa e Jaffa mentre io, come palestinese, posso senz’altro vantare diritti su Haifa, Jaffa, Beersheva e Gerusalemme. Comunque, nel momento in cui i nostri diritti saranno riconosciuti non attenderemo nemmeno un minuto per unire la Palestina alla Giordania”.
Sono parole che ci costringono a riflettere, per scrupolo di coscienza e verità.