Dibattito | La complessità dei rapporti tra politica etica e diritti.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo. La tesi qui esposta non coinvolge la redazione, ma rimanda alla responsabilità esclusiva dell’autore, comunque spesso presente su queste pagine con le sue apprezzate riflessioni.

La riflessione che ci apprestiamo a svolgere merita delle premesse per chiarire che i temi in questione non sono risolvibili con una nota o un convegno, per quanto seri e rigorosi possano essere. Quando si parla di questioni eticamente sensibili che attengono alla vita delle persone e delle famiglie, si svolge un’attività non semplice e non semplificabile; chi pensa di avere soluzioni semplici per problemi complessi commette un peccato di presunzione o – come diceva un noto ed acuto dirigente democratico cristiano – semplicemente non ha capito il problema.

 

Normare la vita delle persone, irrompendo con la forza della legge (quando non addirittura con la violenza dell’ideologia) tra le mura domestiche, è sempre un’operazione delicatissima con l’alta probabilità di ledere i diritti di qualche parte in causa, soprattutto se sono coinvolti dei minori. Ciò nondimeno, la politica e le istituzioni non possono ignorare la crescente complessità ed i cambiamenti che – segnatamente nelle società di cultura occidentale – stanno interessando quel modello familiare tradizionale che resta comunque di gran lunga prevalente nel nostro tessuto sociale italiano ed europeo.

 

La decisione della Prefettura di Milano di bloccare la registrazione anagrafica dei genitori non biologici ha il solo merito di aver squarciato il velo su una realtà che esiste e che in molti evitavano accuratamente di vedere; per il resto è abbastanza chiaro (sicuramente anche alla stessa Prefettura milanese) che la soluzione non risiede certo nel vietare il riconoscimento di una condizione, seppure con le sue peculiarità. 

 

Va anzi detto che la politica non può limitarsi ad applicare le leggi vigenti; per fare quello bastano degli efficienti funzionari pubblici e le autorità preposte al controllo ed all’applicazione di eventuali sanzioni. La politica è chiamata a fare altro e a fare qualcosa in più. La politica deve avere la capacità (e soprattutto il coraggio!) di andare non contro le norme, ma oltre delle normative che magari necessitano di aggiornamenti e rivisitazioni suggerite o rese opportune dal cambiamento degli stili di vita, dall’evoluzione dei processi di sviluppo o dal mutare delle condizioni socio-economiche nelle quali si svolge la vita quotidiana di una comunità.

 

Questo può accadere in tanti casi, ma in particolar modo per le materie che risultano condizionate dalla ricerca scientifica e dal progresso tecnologico (si pensi a titolo esemplificativo, ma non esaustivo, alle diverse modalità di lavoro, produzione e commercio). Una politica che ignorasse i cambiamenti anziché cercare di regolamentarli e governarli, sarebbe assolutamente insufficiente e non svolgerebbe dignitosamente la propria funzione. Ovviamente le questioni che sollevano i dibattiti più coinvolgenti sono quelle che vengono convenzionalmente definite “eticamente sensibili”, perché riferite direttamente alla vita delle persone dall’inizio alla fine, nonostante si possa parlare di “etica” per ogni attività umana. È su questi temi che si registra il maggior “tasso ideologico” nel confronto tra le diverse idee in campo; e l’ideologia – definita come “il complesso di credenze, opinioni, rappresentazioni e valori che orientano un determinato gruppo sociale” – piega la realtà secondo l’idea che si vuole affermare, generando dei veri e propri pregiudizi (meglio ancora pre-giudizi) che poi impediscono una riflessione obiettiva sulle situazioni prese in esame.

 

Il riconoscimento anagrafico dei genitori adottivi non biologici viene peraltro spesso impropriamente accomunato alla cosiddetta GPA (la gestazione per altri), creando ulteriore confusione in un dibattito che ha assunto toni strumentali e che rischia di svilupparsi prescindendo dal merito della questione. Invece siamo chiamati tutti – anche come cattolici democratici – a ragionare con obiettività intorno ad un’operazione di carattere burocratico-anagrafico che può aggiungere dei diritti ad una condizione di vita (in questo caso del minore) senza che alcun diritto sia sottratto ad altri soggetti già titolari delle stesse garanzie di tipo giuridico, economico e sociale. 

 

In questo caso l’ideologizzazione del dibattito serve a taluni per legittimare su un piano più elevato il passaggio di un modello di società e di famiglia dall’attuale condizione di prevalenza nel nostro tessuto sociale ad una condizione di esclusività. Una simile impostazione, ben lungi da una logica di inclusione, tende ad escludere dei cittadini dal godimento di alcuni diritti. Il risultato è quello di mettere al centro delle scelte politiche dei modelli di società – che come tali standardizzano e non di rado massificano – anziché la persona con le sue diverse sensibilità, emozioni e sentimenti, che richiedono non già l’applicazione di moduli, ma risposte diverse per condizioni diverse. Questo è necessario per mettere al centro delle scelte politiche la persona umana, con tutta la sua unicità ed irripetibilità.

 

Con ciò non si vuole certo disconoscere la legittimità di azioni – svolte in modo corretto e rispettoso – tese ad orientare i comportamenti individuali e collettivi secondo impostazioni valoriali di tipo religioso o morale (questi ultimi però, spesso scarsamente oggettivi). 

 

Ma se si crede nella laicità della politica e delle istituzioni pubbliche è necessario che le scelte che ciascuno compie o propone, per motivi di fede o di morale individuale (e quindi soggettiva), non vengano necessariamente imposte né vietate “erga omnes” con la forza della legge, perché spesso nella storia dell’umanità le stagioni dei divieti hanno preceduto le stagioni delle imposizioni, con gravi e irreparabili danni per le malcapitate comunità. Le scelte in contrasto con fede o morale personale non possono essere sempre recepite come reati nell’ordinamento giuridico di uno stato laico; il punto di discrimine che può far coincidere il peccato con il reato è determinato dalla possibilità che l’atto in questione possa creare danni o ledere diritti ad altri soggetti. 

 

Le leggi dello stato devono avere l’obiettivo di promuovere il bene comune, ponendosi come punto alto di mediazione tra idee e interessi diversi, come luogo nel quale tutte le sensibilità e i valori presenti in una comunità vengono rappresentati, contemperati e ricompresi in una sintesi di livello superiore; fuori da questa logica di composizione sociale e riconoscimento di legittimità per le altrui convinzioni c’è solo il conflitto, che può degenerare nello scontro. Alla politica è affidato il compito di ricercare il punto di mediazione più inclusivo ed aggregante possibile.

 

È su questo piano che le istituzioni pubbliche sono chiamate a svolgere la loro funzione rispettando in modo etico, ma anche laico e democratico, quel perimetro di libertà individuale che è un principio fondamentale per una civile convivenza e coesistenza tra persone, storie e culture diverse.