C’è in questi giorni un gran da fare, soprattutto, sui giornali di area. Si colgono quotidianamente commenti e considerazioni assai positive attorno alla coraggiosa iniziativa di Fioroni diventato l’alfiere di un autonomo cammino dei popolari, a partire dalle prossime scadenze elettorali, tra cui ci pare di cogliere un particolare focus sul rinnovo del parlamento europeo nel 2024.
Non mancano a tal proposito incoraggiamenti e tanti consigli, ma nessuno fa alcun accenno al fatto che quel cammino diviene incompleto se non si affronta in radice il problema della ricomposizione dell’area democristiana.
In un mio articolo del 3 marzo scorso così scrivevo: “La scommessa sembra di quelle destinate a lasciare il segno dopo trent’anni di dispersione nei tanti lidi del sistema bipolare che ancora oggi costringe nelle diverse realtà istituzionali a scegliere tra poli contrapposti. Non potendosinegare minimamente che con la segreteria di Elly Schlein sono destinati a nuove strutturazioni tutti i vecchi rapporti politici in quel versante. Ma è soprattutto nell’alveo della componente cattolico democratica e popolare che il dirompente smarcarsi da un più che decennale tentativo di ibrida fusione progettuale, sovente sbilanciato, ora su un versante ora su un altro, impone un nuovo modello di visione politica e progettuale sulle orme di un patrimonio identitario nella consapevolezza di riempire finalmente un vuoto politico e di metodi che da tempo molti elettori attendono, financo a disertare massicciamente le urne”.
Certo, il tutto avviene ancora tra diffidenze e preconcetti. E le avvisaglie non sono state poche. Già in un articolo del 9 aprile del 2021, Giorgio Merlo così scriveva: “Ma è del tutto evidente che, seppur di fronte ad un quadro politico confuso, frastagliato e in continua evoluzione, un “partito di centro” o una “politica di centro” che veda anche l’apporto decisivo della “nostra” cultura popolare e cattolico sociale, non si intravede ancora all’orizzonte. E, malgrado ciò, molti amici continuano simpaticamente a riproporre le proprie sigle o ad avanzarne di nuove come se nulla fosse. Pensando che così facendo, prima o poi tutti gli altri confluiscano passivamente e silenziosamente nella propria”.
Considerazioni che partendo dalla persistente difficile convivenza tra le fila del Pd, davano il segno di una presa d’atto di una non più tollerabile frammentazione dell’area cattolica e popolare e di una perniciosa tendenza a esiziali superfetazioni personalistiche, a dir poco surreali.
Quello che stupisce è che non si è accompagnato a ciò il riconoscimento di quell’iniziativa, seria e responsabile che vecchi iscritti alla Dc avevano messo in campo per ridare vita e azione ad un partito storico “mai sciolto”.
E questo osservare con supponenza i tanti eventi, che stanno attorno a questo obiettivo, non aiuta una causa comune, mentre andrebbe guardata con fiducia l’iniziativa con cui si è assicurata credibile prosecuzione all’esperienza democristiana, nel solco di una sentenza che ha statuito il mai avvenuto scioglimento a norma di Statuto.
Mentre il fatto che non siamo più all’anno zero, avendo il partito ritrovato condivisione e consensi nei territori, soprattutto della Sicilia, dove ha avuto il suo primo esordio elettorale con consistente ingresso nelle istituzioni (Regione siciliana, ove siedono 5 deputati, e tanti consiglieri comunali, a Palermo, Catania e in diversi Municipi dell’Isola) non meriterebbe tanta indifferenza.
C’è da chiedersi allora quanto sia a tutto campo questa iniziativa di Fioroni nel più ampio e comune obiettivo (che ad onor del vero ci sembra una mission quasi naturale) se si vuole ripristinare tutto il caleidoscopio culturale, espressione dei diversi filoni di pensiero di cui un partito che si colloca al centro deve possedere nel suo dna, senza mai svendere la propria identità.
Peraltro quel richiamo al pluralismo interno mi pare non manchi ad ogni piè sospinto. Anzi non c’è commentatore adesivo alla coraggiosa iniziativa di cui si è reso protagonista Fioroni che non richiami il pluralismo a volano per una proposta politica di centro sotto l’egida di quel patrimonio di principi e ideali che diedero spinta e forza alla Democrazia Cristiana, sia nella visione di governo del paese, sia come coprotagonista di scelte cruciali nell’ambito di obiettivi comuni che unissero in politiche di pace, convivenza e sviluppo i diversi paesi del continente europeo, CEE, Ceca, Euratom, Ue. Ecco perché se Fioroni si fermasse a metà del guado esporrebbe questa valorosa iniziativa all’inconcludenza.
A tal proposito significativo mi pare quanto scrive Giuseppe Davicino su Il Domani d’Italia di ieri: “Dal convegno di Tempi Nuovi di venerdì scorso, che ha sancito la ripresa di iniziativa politica dei Popolari, sono emerse, tra le altre cose, due indicazioni strategiche che dovranno modellare il percorso intrapreso: quella dell’impegno per la riforma dell’Europa e quella del contrasto alla crisi dei ceti medi. La necessaria attenzione alle alleanze con un centro che si oppone a future intese fra Ppe e partiti di estrema destra, costituisce un’indicazione importante, da concretizzare a suo tempo, alla luce di quelli che saranno i risultati delle elezioni del 2024. E tuttavia ancora più importante appare la consapevolezza che l’Unione Europea necessita di urgenti e strutturali riforme per renderla adeguata alle sfide del mondo attuale. Questo credo sia essenzialmente il dato da cui partire per impostare una proposta elettorale unitaria dei Popolari italiani per le prossime Europee. Si parla ancora di ripristino del patto di stabilità come se nulla fosse cambiato, quando i grandi eventi dei primi anni venti hanno mutato in modo irreversibile gli equilibri europei. La guida tedesca ormai appare un lontano ricordo, sostituita dalla guida Nato a trazione angloamericana”.
Se da una parte mi pare importante e condivisibile la raccomandazione che Davicino fa affinché chi propone uno scenario fondato sulla sussidiarietà raccolga l’appello di Draghi ad affrontare con una politica fiscale comune europea, le nuove istanze e con esse le nuove problematiche di fronte ai quali oggi uno stato nazionale si dimostra inadeguato: dai temi dell’ambiente, alle migrazioni, dalla sicurezza europea, alle catene di approvvigionamento, dell’energia, non di minore efficacia persuasiva appare essere il progetto di paese e di Europa che il nostro filone culturale, interno alla Dc, come può leggersi per intero dalla fonte qui appresso citata, al momento critico verso eventuali scelte di altra direzione, intende perseguire a proposito delle dinamiche di future intese intraprese dal Ppe con i partiti di estrema destra.
Ecco quanto, appena pochi giorni fa, ho scritto in un mio articolo dal titolo: “Le seduzioni trasformiste dei partiti della XIX legislatura”, sul mensile “ Il Laboratorio “ di giugno.“...con la collocazione nei posti chiave, di personalità così identitariamente connotate, si rafforza l’impressione che stia prevalendo una visione personalistica del partito (si allude alla Dc, di cui oggi è segretario politico Totò Cuffaro,n.d.a.), che rischia di trasformarsi in mero comitato elettorale, puntando sempre meno sulle occasioni di dibattito interno, volto invece più alla ricerca di qualche scranno nelle istituzioni (a cominciare dal parlamento europeo) anziché costruire un partito a lungo respiro che riporti equilibrio e coerenza nel sistema politico interno e non crei ambivalenza di linea nel quadro europeo del popolarismo, dove si sta giocando una partita difficile, in vista del rinnovo della legislatura del prossimo maggio, soprattutto per l’idea ardita del presidente del Ppe, Manfred Weber di voler abbandonare l’attuale alleanza con i socialisti e portare i conservatori di G. Meloni e ovviamente tutto lo schieramento di M. Le Pen e la Lega di Salvini a sostenere un nuovo esecutivo, spostando il baricentro politico, nettamente a destra”.
“Per fortuna il suo temerario tentativo […] nei primi assaggi di voto, in occasione dell’approvazione della legge di ripristino dei suoli naturali e dell’ecosistema, non è andato in porto. La legge è stata approvata dal parlamento europeo con il voto di sostegno di 21 deputati del Ppe in dissenso dalla indicazione del loro presidente M. Weber.Speriamo che il presidente Weber sappia cogliere il chiaro segnale che l’obiettivo di una coalizione tra Popolari e Conservatori, è per natura e storia del Ppe, impraticabile”.
“Come è indubbio il fatto che l’idea di spostare a destra l’attuale baricentro politico implichi necessariamente la consapevolezza di accettare il rischio di trovarsi nella prossima legislatura europea accanto ai rappresentanti dell’Afd (gruppo di estrema destra tedesco) come possibili sostenitori del nuovo esecutivo (se davvero dovesse passare quest’operazione) e dei tanti piccoli gruppi di estrema destra che pullulano in questo momento in diversi stati dell’Unione. Così come è deprimente immaginare l’effetto consequenziale di un Europa sotto la tenaglia dei nazionalismi. Sarebbe come dare consapevolmente la stura ad uno sgretolamento dell’Unione, vanificando per sempre il sogno di un’Europa unita, come la immaginarono i padri costituenti: K.Adenauer, A. Spinelli,A. De Gasperi, J. Monet e R. Schuman. Di certo quel voto […] dei 21 eurodeputati del Ppe in dissenso dall’indicazione del loro capogruppo ha reso evidente che questa strategia politica è non solo temeraria, ma assai divisiva”.
Un chiaro esempio di concordanza in vari punti di una visione politica che si snoda nella comune matrice di cultura e di pensiero e espressione di quell’autentico pluralismo di idee e posizioni che si è incardinato, nel solco di una storica continuità nella Dc, che in questi frangenti, unitamente ad altri amici, mi vede in posizione critica nei confronti della linea del segretario Cuffaro. Eppure non ho mai avuto, nonostante diversi tentativi di dialogo da me lanciati attraverso questa valorosa testata giornalistica, una sia pur frettolosa risposta o momenti di confronto sugli obiettivi comuni. Mentre come si vede, c’è la prova che anche nella Dc “nuova” alberghi l’espressione più autentica di un pluralismo di valori e di visione politica che può essere il naturale quadro per assicurare credibilità al doveroso processo di ricomposizione di una originaria comune identità, unico strumento per ridare forza e peso ad un ruolo di mediazione e di lungimiranza che la polarizzazione del sistema ha totalmente polverizzati.