Via della Seta, prima sì e poi no, ma sempre senza strategia.

L’Italia finisce per abbandonare il proprio ruolo di leader del Mediterraneo nel cui spazio “bifronte” deve giocare la sua partita decisiva soprattutto in questi tempi inevitabilmente caratterizzati da venti di crisi.

Nelle ultime settimane si è ritornato a parlare della decisione che il nostro Paese dovrà prendere in ordine al rinnovo del Memorandum che dal 2019 ci lega alla Via della Seta, il grande progetto da 900 miliardi di dollari di investimenti lanciato verso il resto del mondo dalla Cina, a seguito di un discorso pronunciato dal leader cinese XI Jinping a Samarcanda nel settembre 2013. Ladesione dellItalia al piano del Governo di Pechino era avvenuta a seguito della sua firma da parte del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante la visita di stato che il leader cinese aveva fatto a Roma nel marzo del 2019, che così aveva fatto diventare il nostro Paese lunico aderente al G7 a sottoscrivere il Patto dintesa sulla Belt and Road Iniziative (Nuova Via della Seta). Conte, che  aveva firmato il patto nella sua qualità di capo del Governo giallo-verde, ne ha poi rivendicato la validità anche  allorché si è trovato a guidare il Governo giallo-rosso. Erano i tempi, infatti, in cui il leader dei 5S assieme ad altri esponenti politici teorizzava e tentava di sperimentare un cambio della tradizionale linea di politica estera dellItalia, spostandola dallo storico atlantismo ed europeismo ad una innovativa equi-vicinanza di Roma a Washington e Pechino. E ciò anche a seguito della cd. dottrinadi Massimo DAlema che da tempo insisteva sullidea che lOccidente stesse vivendo una vecchiaia rancorosa.

Ora, dopo lo scoppio della pandemia e soprattutto della guerra da parte della Russia contro lUcraina, ci si è improvvisamente ricordati che, comunque, i rapporti del mondo occidentale con luniverso cinese restano sempre molto tesie, soprattutto, che gli Stati Uniti non hanno smesso mai di insistere con tutti i propri alleati ed in particolare con lItalia per un atteggiamento meno ambiguonei confronti della Cina. Con la conseguenza che, in ambito europeo, i Paesi dellEst – con il testa lEstonia che ha già fatto sapere di volere abbandonare la Via della Seta – hanno  manifestato una linea dura e quelli capitanati da Francia e Germania, pur temendo un pesante contraccolpo economico, hanno ribadito il loro no alladesione al Protocollo cinese. Insomma, lItalia è rimasta abbastanza isolata dai propri storici alleati ed anche, in qualche modo, è stata rimproveratadal suo maggiore partner: gli Stati Uniti dAmerica. Al punto tale che il nuovo Governo della Meloni avrebbe deciso, seppure senza creare strappi con la Cina, di rompere lintesa non rinnovandone a fine anno la sottoscrizione. Naturalmente, cercando di salvare gli scambi commerciali e magari costruendo nuovi accordi, come hanno fatto Parigi e Berlino. Altrimenti potremmo essere chiamati a pagare costi enormi che leconomia del Paese difficilmente sarebbe in grado di sopportare. Quindi sarà necessaria una grande abilità diplomatica per riuscire nellintento di spiegare a XI Jinping che non si tratta di un volgare e rozzo voltafaccia ma di un inevitabile atto politico frutto della evoluzione delle strategie che lItalia condivide, in quanto Paese membro, con lUnione Europea e che comunque, seppure diverse, non sono certo ostili a quelle portate avanti dal Paese asiatico con il suo progetto della Via della Seta.

Ma è proprio qui, nelle motivazioni di fondo che la linea del Governo Meloni intende seguire per comunicare e motivare il  No! al rinnovo del Patto con la Cina – come, del resto, a suo tempo per il frettoloso e superficiale sì – che emerge tutta la debolezza della sua giustificazione, affidata  ad un pragmatismo che dipende esclusivamente dai rapporti di forza (commerciali) in campo e rinuncia ad ogni logica (di alta?) politica. Basti pensare che per motivare labbandono della Via della Seta si evocano comportamenti cauti, misurati, avveduti, controllati ma si dimenticano le ragioni di una grande visionecome la strategia Global Gateway elaborata dallUnione Europea proprio in risposta alla Via della Seta cinese e annunciata dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen in occasione del discorso sullo stato dellUnionepronunciato al Parlamento europeo il 15 settembre 2021.

La Global Gateway è, infatti, unofferta positiva dellUE nei confronti dei molti Paesi nei quali è in gioco un confronto di narrazioni e offerte di cooperazione diverse. Come ha scritto (sul n. 191/2023 di Formiche) il Commissario europeo per i partenariati internazionali, Jutta Urpilainen, essa è una strategia ambiziosa per sostenere la ripresa economica globale collegando persone e luoghi in modo sostenibile secondo un nuovo e reale partenariato internazionale che crei legamie non dipendenze. Un partenariato globale basato su valori reciproci e obbiettivi comuni per raggiungere connessioni sostenibili ed affidabili che si distinguano da quelle dirette ed unidirezionali della Belt and Road con la potenza asiatica. Nella sostanza, una vera e propria iniziativa di portata globale che si rivolge principalmente al continente africano, a quello asiatico, allAmerica latina  e ad alcuni Paesi viciniori europei sulla base di un piano che riguarda cinque ambiti di intervento: tecnologie digitali, clima ed energia, trasporto, sanità, istruzione e ricerca.

Per queste azioni la Commissione europea ha fissato alcuni principi fondamentali individuandoli nellalta qualità dei progetti e degli standard, nel rispetto dei valori democratici, nella buona governance dei progetti e della sua trasparenza, nella paritarietà dei partenariati, negli investimenti verdi ed in un approccio basato sulla sicurezza. Il tutto organizzato in un programma che punta a mobilitare, entro il 2027, fino a 300 miliardi di euro di investimenti di fondi pubblici e privati con un approccio Team Europeche nel concreto vuol dire impostare un lavoro a stretto contatto tra gli Stati membri e le istituzioni per finanziare lo sviluppo e ottenere il maggior impatto possibile. Nella prospettiva, è utile ribadire, di instaurare un rapporto di cooperazione paritario tra lUnione e i Paesi beneficiari nel quale unattenta costruzione dei meccanismi di finanziamento crei legami sostenibili e non dipendenze che vincolino i partners con il debito. In particolare, nellarea del Mediterraneo che, come sostiene proprio lItalia, a causa della guerra ucraina ha risentito, per un verso, maggiormente della destrutturazione delle catene di fornitura e dei meccanismi di approvvigionamento di beni essenziali ma, per altro verso, offre opportunità di connessione in settori strategici come lenergia, fondamentali per sviluppare progetti infrastrutturali necessari a sostenere la ripresa economica.

Ora, a fronte di questa prospettiva strategica europea di grande respiro alla quale oltre tutto siamo vincolati, il nostro Paese, dovendosi affrancare da una poco opportuna intesa con la Cina – rivale sistemicodellOccidente – non solo se ne dimentica, avanzando motivazioni per non rinnovare il Patto della Seta francamente ridicole e traboccanti di fastidioso opportunismo, ma finisce anche per operare nel concreto contro il recente riconoscimento di componente del Digital 4 development hubche dovrebbe promuovere inclusione, sostenibilità e trasformazione digitale e verde nei Paesi partners. In sostanza, abbandonando il proprio ruolo di leader del Mediterraneo nel cui spazio bifrontedeve giocare la sua partita decisiva soprattutto in questi tempi inevitabilmente caratterizzati da venti di crisi che soffiano a poche miglia dalle coste nazionali.

Ma così, ricadendo ancora una volta nellerrore di sottovalutare una politica attiva e strutturata per  rifugiarsi in quellapproccio occasionale e frastagliato che troppo spesso ha caratterizzato le nostre linee dazione concentrate esclusivamente, come da ultimo ha evidenziato anche Stefania Craxi (nel n. di Formiche, cit.), sul versante difensivo e securitario, senza guardare invece alle potenzialità di sviluppo che le condizioni geo-politiche offrono e che, se sapute cogliere, comporterebbero certamente un rilancio del ruolo comunitario dellItalia e dellintera Europa non solo nel mare nostrum ma anche nel più ampio scenario dei rapporti ormai globalizzati.