Il multipolarismo inarrestabile esige un cambio di strategia dell’Occidente

Il mondo si aspetta che Stati Uniti ed Europa sappiano esprimere una diversa strategia, non di ostilità al multipolarismo, ma di partecipazione collaborativa e competitiva al nuovo ordine globale.

Durante la sua recente, e sorprendente, visita a Pechino il centenario ex segretario di stato Henry Kissinger si è sentito ricordare dal responsabile della politica estera cinese Wang Yi, una cosa di cui egli è profondamente consapevole, che la Cina non è contenibile, accerchiabile. Più in generale appare inarrestabile l’evoluzione degli equilibri internazionali verso un ordine multipolare.

La parte dell’élite occidentale, che ha nell’anziano ed esperto politico americano il massimo riferimento ad un approccio realista al mondo divenuto multipolare, ha forse lanciato la sua sfida nei confronti dell’altra fazione, quella riconducibile ai neoconservatori, che invece negli ultimi decenni si è imposta, e che ha posto la narrazione del “nuovo secolo americano” a fondamento del suo interventismo, e che ora propone una visione non conciliante rispetto al nuovo assetto verso cui naturalmente sta andando il mondo, sempre che prima o poi non si verifichino eventi tali da interrompere il normale corso della storia.

Per definire quale strategia l’Occidente debba seguire nei confronti dell’emergere di nuovi protagonisti sulla scena globale, appare quindi ineludibile la questione di quale bilancio si possa fare delle politiche di contenimento dell’influenza delle potenze extra occidentali negli ultimi trent’anni. Politiche che per la nostra porzione di mondo afferiscono alla parte orientale dell’Europa e al Grande Medio Oriente.

Nel primo caso i successi conseguiti dall’espansione della Nato ad Est non sembrano essersi tradotti in una maggiore sicurezza ma anzi potrebbero aver fatto da concausa al determinarsi della attuale situazione di guerra per procura sul suolo ucraino.

Neanche in Medio Oriente nonostante un colossale sforzo bellico sembrano esser stati raggiunti gli obiettivi che prometteva la strategia dei neocons (ben radicati nei posti chiave delle amministrazioni americane, repubblicane e democratiche, che si sono alternate da Bush padre fino a Biden).

In Siria il presidente Bashar al-Assad, a capo di un regime laico a garanzia dell’equilibrio multireligioso e multietnico del Paese, ha resistito alla destabilizzazione straniera anche nelle sue forme più spregiudicate, come la creazione dell’Isis. L’ Iraq che era un regime laico con Saddam, e con un grado di istruzione della popolazione e di classe media superiori al resto dell’area, è passato sotto la sfera d’influenza iraniana. Anche l’attuale premier iracheno, Mohamed Shia’ Al Sudani, è sciita.

In Afghanistan dopo neanche due anni dal ritiro delle truppe Nato, si respira aria di ricostruzione. E se è vero che la condizione della donna non è paragonabile a quella occidentale, non vanno sottovalutate le misure sociali del governo talebano come quella contro i matrimoni combinati, o quelle per l’accesso delle donne alle attività economiche, culturali, sportive nei modi consoni alla loro cultura. Ma in un Paese distrutto da circa 40 anni di guerra le priorità sono innanzitutto l’ordine pubblico, anche contro i tentativi stranieri di destabilizzazione, come quello operato attraverso l’Isis-K della provincia di Khorasan, le infrastrutture, la sicurezza alimentare ed energetica, dopo che il governo, come certifica un’agenzia indipendente britannica, la Alcis Geo, ha quasi del tutto stroncato la coltivazione del papavero da oppio. Le speranze di riscatto e di sviluppo di Kabul passano in gran parte dall’agganciare il sistema di collaborazione tra la Cina e il confinante Pakistan, per estenderlo nel proprio Paese.

Dunque i fatti sembrano attestare  che la strategia di contenimento delle potenze asiatiche per via militare si è rivelata non vincente anche nel Grande Medio Oriente. E le popolazioni che hanno dovuto subirla in genere non conservano un’opinione esaltante dell’Occidente.

Alla luce di questi fatti quale credito possiamo dare a una strategia che prevede l’Occidente impegnato in una guerra senza fine alle minacce che proverrebbero da un resto del mondo (si fa per dire perché costituisce quasi il 90% dell’umanità) la cui colpa è solo quella di cercare una propria via allo sviluppo?

Solo prendendo coscienza che lo sviluppo di tali Paesi è inarrestabile, si possono creare le premesse per un futuro di sicurezza e di pace. Ma perché questo possa avvenire, sia gli Stati Uniti che l’Europa devono saper esprimere una strategia diversa, non di ostilità al multipolarismo, ma di partecipazione collaborativa e competitiva al nuovo ordine globale. Gli Stati Uniti, riconciliandosi con la loro vera natura di stato affrancatosi – saranno 250 anni nel 2026 – dal colonialismo. L’Unione Europea affrontando le necessarie riforme che la aiutino a trasformarsi da appendice degli Stati Uniti per ciò che concerne la capacità militare, a soggetto autonomo sullo scacchiere globale.

Perché, alla fine, dall’affermazione di un multipolarismo, accettato e non subito dall’Occidente, l’Alleanza Atlantica, gli stati e i popoli occidentali, l’Unione Europea hanno tutto da guadagnare. Come pure il resto del mondo.