Dibattito | Una babele di liste non aiuta la ricomposizione del centro.

I popolari sembrano vagare disorientati dentro un labirinto senza uscita. Colpa delle contraddizioni che pesano sulle proposte politiche messe in campo. Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’opinione dell’amico Rapisarda.

Diviene sempre più interessante, su questo valoroso giornale, il dipanarsi del dibattito che da tempo, con pregiate analisi dei contesti culturali e politici cerca di cogliere la migliore via per una ricomposizione dell’area democristiana e popolare, per riproporre nel sistema politiche di centro. E con interventi di alto spessore si riaffaccia, con periodiche considerazioni, lo storico interrogativo: che fare? O meglio, come organizzare nel miglior modo e nel più breve tempo possibile il ricompattamento dei diversi filoni culturali e ideali che furono l’espressione più feconda della Democrazia Cristiana.

In realtà, non da ora, c’è un lavorio attorno a quella che può essere l’espressione politica di una idea di centro: teatro da anni di un singolare paradosso che in questi anni non ha non ha ammaliato soltanto cattolici e popolari: sempre più ambito e sempre più vuoto. Oggi i tumultuosi cambiamenti identitari che hanno investito le forze politiche ci rendono sempre più datata l’idea e la rappresentazione del centro come lo spazio di una prassi politica consegnata alla storia, di cui ne fu protagonista la DC di De Gasperi. 

In realtà quella connotazione non è mai stata di per sé sufficiente a renderci la vera idea di centro immaginata da don Luigi Sturzo. In un suo famoso articolo risalente al 1923 ce ne da la precisa cognizione: “Spieghiamo allora cosa intendiamo per centrismo. Per noi il centrismo è lo stesso che popolarismo, in quanto il nostro programma è un programma temperato e non estremo: – siamo democratici, ma escludiamo le esagerazioni dei demagoghi; – vogliamo la libertà, ma non cediamo alla tentazione di volere la licenza; – ammettiamo l’autorità statale, ma neghiamo la dittatura, anche in nome della nazione; – rispettiamo la proprietà privata, ma ne proclamiamo la funzione sociale; – vogliamo rispettati e sviluppati i fattori di vita nazionale, ma neghiamo l’imperialismo nazionalista; e così via, dal primo all’ultimo punto dei nostro programma ogni affermazione non è mai assoluta ma relativa, non è per sé stante ma condizionata, non arriva agli estremi ma tiene la via del centro.”.

Qui si condensa tutto il senso di una teoria politica intrisa di vocazioni valoriali forti in grado di renderci tutta la realtà dialettica che si agitava dentro l’azione politica e l’orizzonte del partito popolare che Egli aveva fondato (e fatto poi proprio dalla Dc che assieme a De Gasperi contribuì a far nascere) che mette coraggiosamente argine ad ogni sorta di polarizzazioni, vuoi nelle diverse versioni del populismo e del nazionalismo, di cui la dittatura in quel tempo se ne faceva interprete, vuoi nelle versioni del liberismo sfrenato o di una sinistra liberticida.

Una concezione che non ha perso nulla della sua attualità storica e politica.

Questo scenario ci evidenzia  tutte le ragioni di quanto possa essere poco praticabile oggi l’idea di una “Costituente di centro”, come l’esimio sen. Tarolli ha affacciato, su questo giornale, sia nella forma di rassemblement, che come espressione federativa.

Una strana idea di centro il ritrovarsi dentro un contenitore senza storia, magari rappresentato da una costellazione di simboli, con un mix di forze e associazioni, cattoliche, liberali e riformiste, davanti a partiti che agitano le piazze, e con tutte le conflittualità e i colpi bassi che si possono immaginare nella quotidiana competizione tra gli esponenti – taluni a capo di partiti personali – che non facilita di certo il risultato perché espone l’iniziativa ad un ibrido identitario, con facile gioco per le fazioni organizzate, sicuramente non sussumibili alle storiche correnti che furono la linfa vitale di ogni scelta politica durante la cinquantennale esperienza.

L’immaginare poi, come qualcuno ancora si ostini a prefigurare, un simile contenitore come una sorta di nuova “Margherita”, ci sembra una autentica boutade.  Non basterebbe la fantasia di Pirandello per pensare di fare stare insieme nello stesso organismo politico federato, Grassi, Cuffaro, Tarolli, Zamagni, Infante, Renzi, Calenda, Mastella, Rotondi, Lupi, Toti, Brugnaro e tanti altri emeriti cespugli, ossia esponenti di matrice liberale, socialista, azionista, cattolico democratici e radicali, senza creare una babele di dichiarazioni e di presenze mediatiche intorno a progetti e proposte, magari in contraddizione l’uno con l’altro…

C’è invece un dato che mi fa ben sperare che ricavo dai recenti interventi. Ossia un filo comune nuovo che comincia a rendere credibili alcuni passaggi chiave. Sicuramente non sarà stato estraneo l’effetto negativo che ha avuto il fulmineo flop che ha fatto registrare l’esperimento del Terzo polo, eroso in pochi mesi da una conflittualità tra i due leader, dimostrando in modo evidente  come non si costruisce un partito attraverso l’idea di una fusione a freddo, pensato più sulla sommatoria di due piattaforme politiche, poco sovrapponibili – come la fase successiva allo scioglimento ha dimostrato – che su una condivisa convergenza sugli obiettivi di fondo e su programmi compatibili.

Insomma una chiara prova che l’avventura delle aggregazioni ibride e dei partiti personali non appare la strada migliore.

Mentre comincia ad affacciarsi la consapevolezza che non può oggi essere eluso, da ciascuna forza politica o associazione di area, il guardare con attenzione allo sforzo organizzativo e politico, nella continuità progettuale di idee e valori che sta portando avanti la rinata DC, ”nuova”, oggi unica, in confronto alle tante emulazioni, a potersi titolare nel segno della continuità storica, avendo ridato, conformemente a statuto, corpo e vita ad un partito mai sciolto.

Questo a mio avviso è il discrimine da cui passa ogni idea di ricomponimento o di riunificazione. È in questo scenario che si iscrive l’analisi di ieri di Giorgio Merlo su questo giornale, laddove nel porre a disamina le diverse opzioni politiche che può imboccare un simile processo aggregativo, così scrive a proposito del ritorno in campo della Dc: “..c’è chi continua ad insistere sul cosiddetto “partito identitario”. Potremo dire che si tratta della scelta più congeniale e forse anche la migliore. Peccato che nella politica occorre sempre tenere presente, come ci insegnava Sandro Fontana, “del testo e del contesto”. E cioè, conta sì il progetto ma, soprattutto, se quella proposta è politicamente credibile e se il contesto che la accoglie è favorevole e contemporanea rispetto a ciò che si propone. Ci sarà una motivazione se dopo la fine della Dc e, soprattutto, del Ppi di Franco Marini e di Gerardo Bianco tutti i tentativi identitari – credo alcune centinaia a livello nazionale – siano andati a sbattere. Insignificanti a livello politico ed irrilevanti a livello elettorale.”.

Se da una parte ne riconosce come la scelta migliore sul piano dei diversi orizzonti che può prefiggersi la riaggregazione dell’area cattolica e popolare, non appare verosimile invece l’ultima parte delle sue osservazioni in quanto viziata da evidente travisamento dei mirabili risultati elettorali che, mi pare, all’amico Merlo, siano sfuggiti.

Alludo al fatto, che non possono qualificarsi come “insignificanti a livello politico e irrilevanti a livello elettorale, risultati di tutto rilievo, ottenuti in Sicilia, con cui sono stai eletti quattro deputati all’Assemblea regionale siciliana, e con nella giunta due assessori; cinque consiglieri al Comune di Palermo e tantissimi consiglieri comunali in svariati Comuni di quella Regione.

Stiamo parlando della rinata Dc, mediaticamente definita “nuova”, che è cresciuta esponenzialmente nelle iscrizioni e nei consensi, man mano che in questi due anni si sono succedute le diverse tornate elettorali amministrative. Tanto che il partito appare pronto ad affrontare autonomamente anche le competizioni a livello nazionale, a cominciare dalla prossima scadenza elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo.

Insomma c’è già un territorio e un elettorato che si è sentito rappresentare da questa nuova realtà di partito, e pretendere, come ha messo in chiaro, il Sen. Tarolli :”..un Tavolo Paritario, dove ciascun Soggetto possa portare il suo “specifico”, dove si possa dialogare, confrontarsi e quindi decidere..”; e ciò vuol dire per la nuova Dc, prendere in giro il suo elettorato e mandare alle ortiche le attese e le speranze di tanti italiani che si sono ritrovati, intanto nelle diverse competizioni locali, nei programmi e nei progetti di territorio messi in campo, assieme ad una nuova classe dirigente.

Di certo anche questa proposta non appare il miglior metodo per ricomporre la frantumazione politica dell’area dei cristiani e dei popolari. Ed è evidente il perché della poca praticabilità che suscita simile soluzione. In un quadro di riunificazione come di può trascurare il peso politico che ciascuna forza porta? Soprattutto se consideriamo che c’è già un proficuo percorso in atto con tanto di rappresentanze nelle istituzioni. Così si finirebbe per inaridire la spinta ad un serio processo di ricomposizione. Ma il cammino appare ancora lungo ed impervio anche perché il quadro che ne stanno offrendo i popolari, in questi giorni, è ancora assai antitetico. Da una parte si dà l’impressione che si continui a perseguire trattative negoziali per assicurare sopravvivenza alla piccola enclave di popolari dentro il Pd (facenti capo a Delrio e Castagnetti), nella convinzione che possano ancora avere un ruolo politico nel partito massimalista e radicale di massa di Elly Schlein: torniamo  ai tempi dei cosiddetti indipendenti di sinistra?

Dall’altra l’incomprensibile rimarcato proposito dell’on. Fioroni, e della sua associazione Tempi Nuovi, alla ricerca di un leader, con gli appelli a Renzi e Calenda, per proporsi alle prossime elezioni Europee, in un quadro di rinascita del Terzo polo, e con l’adesione al Partito Democratico Europeo, di cui è espressione significativa in questo momento il partito di Macron, Renew Europe: cosa che si pone come un grosso ostacolo verso il comune obiettivo della ricomposizione dell’area popolare e cristiana che notoriamente ha come punto di riferimento il Ppe.

Così che quegli stessi popolari che hanno primariamente propiziato l’idea di fare liste comuni con le forze centriste, attanagliati in una babele di contraddizioni sembrano vagare disorientati dentro un labirinto senza uscita.

L’impressione è che pregiudizialmente tra i popolari prevalga l’idea di tenere lontana l’ipotesi di una ricomposizione concreta, perché ciò comporterebbe un aperto confronto con la rinata Dc di Renato Grassi ed oggi rappresentata dal segretario Cuffaro. È forse prevalente l’idea di ritenersi custodi di un pensiero da non contaminare? Finché i popolari resteranno indifferenti davanti ad una realtà politica che sta ridando linfa a quella DC, mai sciolta, e da cui ripartire, difficilmente si potrà parlare di riunificazione o di ricomposizione della galassia democristiana.

Tuttavia, non apparendo un processo di poco tempo, mi pare assai convincente l’idea lanciata dal segretario Cuffaro di proporre una lista “Liberi e Forti” con unico simbolo per le europee e con dichiarata affiliazione al Ppe, aperta a chi si riconosce in quel manifesto ed in tutta la storia che esso ha rappresentato fino ad oggi. Penso sia lo strumento più efficace per offrire al territorio un progetto politico che non intende ignorare le inadeguatezze delle attuali politiche comunitarie, soverchiate dalle egemonie finanziarie e quindi scarsamente versate in direzione del benessere essenziale di ogni persona.