Da molto tempo abbiamo preso atto del profondo e radicato pluralismo politico nelle varie aree culturali del nostro paese. Nessuna esclusa. Eppure, almeno per una cultura politica sufficientemente identitaria e antica come quella del popolarismo di ispirazione cristiana, fa sempre un certo effetto vederla dispiegare su tutto l’arco costituzionale, come si diceva un tempo. Forse con la sola assenza nel campo del populismo anti politico, qualunquista e demagogico dei 5 Stelle e nei gruppuscoli estremistici e violenti presenti tanto all’estrema destra quanto all’estrema sinistra, non possiamo non registrare una presenza in tutte le altre formazioni politiche dei Popolari.
Ora, senza avere la presunzione di distribuire pagelle a destra e a manca – tentazione che, purtroppo, continua a circolare massicciamente in alcuni settori dell’area popolare – diventa francamente difficile, se non addirittura imbarazzante, comprendere le ragioni politiche, culturali, programmatiche e forse anche etiche che giustificano la presenza di molti amici Popolari in alcune formazioni politiche contemporanee. Certo, tutti conosciamo le ragioni specifiche, perchè sono umanamente comprensibili, che legittimano questa presenza: dal ruolo nelle istituzioni ai vari livelli alle prebende del sottogoverno; dagli incarichi negli organigrammi di partito alla legittima aspettativa nell’occupare futuri ruoli politici. Ma, al di là di questa dimensione, pur sempre presente nell’agone politico, è indubbio che ci sono anche delle ragioni più profonde che spiegano e, appunto, giustificano la presenza di molti amici Popolari in quasi tutti i partiti italiani.
Ecco perchè diventa francamente curioso, se non addirittura divertente, conoscere le “ragioni” politiche e culturali di queste singolari ed anacronistiche appartenenze.
Senza fare un censimento, anche un po’ ridicolo e patetico, verrebbe da chiedersi però che cosa c’entrano i Popolari con la sinistra radicale, massimalista, estremista e tardo libertaria della Schlein. Oppure qual è la sintonia dei cattolici popolari e sociali con la cultura laicista, liberista, repubblicana e azionista di Calenda. Per non parlare del sovranismo e del cattolicesimo ‘à la carte’ della Lega salviniana o di alcuni settori della destra estrema di Fratelli d’Italia. E l’elenco potrebbe continuare.
Certo, ogni esponente, e giustamente, è in grado di spiegare dettagliatamente le ragioni o le motivazioni che lo portano a militare in partiti e in formazioni radicalmente estranee ed esterne alla radici culturali, sociali, politiche e programmatiche del popolarismo. Ma, tuttavia, anche le giustificazioni più rocambolesche hanno sempre dei limiti. Dettati più dalla coerenza che non dalla sola convenienza.
E la conclusione, pertanto, è abbastanza semplice anche se al tempo stesso complessa. E cioè, se si vuol ridare prestigio ed autorevolezza alla politica e agli stessi politici, non si possono al contempo ridicolizzare le culture politiche di riferimento. A cominciare, nel caso specifico, dalla cultura storica, antica ma fortemente attuale e moderna del cattolicesimo popolare e sociale. Perché senza una proiezione politica coerente e lungimirante con la sua storia, sono le stesse ragioni di quella cultura ad entrare irreversibilmente in crisi. O perché estranee ai partiti di riferimento o perchè, peggio ancora, piegate a motivazioni riconducibili unicamente alla convenienza di potere dei singoli.
Forse è bene pensarci prima che sia troppo tardi. Soprattutto in questa fase che segna, seppur timidamente, il ritorno della politica e delle sue categorie costitutive.