Do you remember Max Weber? Urge riscoprire l’etica della responsabilità.

Guardiamo alla politica, ma anche alla società: viviamo un tempo di declino, sotto vari aspetti. Per questo dobbiamo far tesoro del monito di Weber sulla necessità di un’etica della responsabilità.

‘Passata è la tempesta’, odo solo  Schline e compagni…’far festa’.  Mentre Meloni e fratelli, hanno intravisto un poco di…’sereno’ solo dopo le sue dimissioni. Può darsi che abbiano entrambe  ragione. Un fatto è al  momento sicuro. Gennaro Sangiuliano dopo tante pressioni ha finalmente rinunciato all’incarico. E la Corte dei Conti ha già aperto un fascicolo nei suoi confronti, per indagare su eventuali ricatti, estorsioni e quant’altro emerso dalla sceneggiata andata in onda in prima serata su tutti i canali televisivi italiani. Riportata con titoloni di quattro colonne sulle  prime pagine dei principali quotidiani nazionali. Discussa nei bar, nei circoli, e durante i pranzi e le cene familiari. Tutto questo mentre Rosaria Boccia nominata personalmente da Sangiuliano consulente del Ministero, emergeva dal mondo della moda dove era rinchiusa, e faceva parlare di sé  come una neo influencer che ha spiato, che ha registrato video di luoghi e palazzi riservati, telefonate personali, che ha fotografato lettere dell’ex ministro della Cultura.

Non entro nel merito delle questioni sospese. Non le conosco. Le lascio alla magistratura, e a onesti giornalisti. Ma anche a pazienti  studiosi della democrazia politica dei nostri tempi.  Mi limito a sottolineare solo tre problemini che riassumo con le loro interrelazioni. E che a mio parere nel corso del ‘serials’ sono rimasti sottotraccia e non sono  emerse come meritavano. Meglio: non  sono state messe in risalto come la democrazia  meritava. E tutto questo proprio mentre su di essi esiste da decenni una vastissima discussione fra studiosi, una copiosa letteratura unita a ricerche mirate.

Andiamo per ordine. 1) I media: vecchi e soprattutto nuovi. Il loro  ruolo e uso politico nel rapporto con il pubblico. La politica ridotta a spettacolo. E, in questo caso,                    l’ingiustificabile uso privato della televisione pubblica di Stato, e la sua utilizzazione a scopi personali. 2) Il  giornalismo di oggi. Il suo spessore professionale indipendente e morale. Con la rimozione di tutti i possibili sforzi tesi all’imparzialita’, onestà, obiettività e completezza dell’informazione e della notizia. 3) La  qualità della classe dirigente politica. I criteri della sua selezione – oggi spesso scandalosamente amicali e parentali. Il suo ego individualista e narcisista. La totale  assenza in essa, di una pur minima  “etica della responsabilita” weberiana.

Temi e problemi fondamentali alla democrazia reale dei nostri giorni, se veramente non la vogliamo trasformare in una post-democrazia virtuale. Nodi centrali della politica, che proprio per questo non bisognerebbe mai trascurare, e sui quali occorrerebbe che gli studiosi non delegassero al giornalismo di parte e fazioso la  discussione e il dibattito.  Devo riconoscere, per quel poco che sono riuscito a leggere in questi giorni, che di questi seri problemi interconnessi se ne è solo accennato en passant. Frammisti e nascosti nel fatto apparentemente solo scandalistico che è emerso. Nel mentre si tratta di questioni fondamentali, che necessitano di continui approfondimenti. Per fare capire meglio e bene all’opinione pubblica in quali mani siamo costretti a vivere, e in quali mani la stessa democrazia politica si è ridotta a  vivere. Una volta che ha passato la palla al mondo dei media di quella sacrosanta  partecipazione messa al centro dell’ultima  Settimana Sociale cattolica  triestina.

Una volta che abbiamo da fare con i primi piani, i vestiti cambiati ogni giorno, i modi veloci  di camminare. Con  libri scritti sul ‘Mondo al contrario’. Sui Vangeli e Rosari tenuti in mano ed esibiti in tv. Con i personali social e siti web dei tanti leader, gestiti in solitudine e in diretto rapporto con l’elettorato senza il minimo accordo con i compagni di strada e di partito. Insomma e per farla breve, siamo in presenza di un io politico e non più  di un noi. Un fatto che spiega bene la crisi del partito politico, e la serie dei partiti personali esistenti.

Occorrerebbe tempo  per indagare a fondo e approfondire queste  tre questioni. Un tempo forse necessario solo per citare i risultati di quanti sociologi, politologi, e persino filosofi, hanno affrontato e indagato da anni su questi temi. Temi e questioni tuttavia, che  come accennavo nel punto 1), e a prescindere dal caso specifico, sono ormai parte strutturale, della politica-spettacolo, della politica-mediatica, della leaderpatia, e del narcisismo leaderistico entro cui viviamo da un trentennio a questa parte. Quanto infatti ho tentato di riassumere nei punti 1) e 2) coincide con la comparsa e la discesa in politica disinteressatamente di un simpatico viveur proprietario unico e personale di un suo partito, e proprietario tra l’altro, anche di tre reti televisive nazionali. Che ha poi anche nominato i suoi amici Minzolini direttore al Tg1 RAI, e Mimun direttore al Tg2.  Per la Meloni niente di nuovo sotto il sole della lottizzazione, dunque, per l’intervista in prima serata di Sangiuliano concordata con l’amico direttore. Mi sembra però onesto a tale proposito solo  ricordare, che ai tempi della storica Dc vincente da cui usciva il suo capo di governo, era viva una più equilibrata  spartizione politica: Tg1 e RAI 1, Dc; Tg2 e RAI 2, Psi; Tg3 e RAI 3 Pci, di cui la Dc…poteva andare orgogliosa. Ma andiamo avanti.

Nei confronti delle ricadute etiche di tutta la vicenda Sangiuliano-Boccia sulla pubblica opinione, e sulla qualità dell’etica sociale esistente, mi affido ad un solo dato che fa capire bene i tempi che viviamo. Alcuni risultati di una ricerca demoscopica europea dell’Istituto francese IFOP di appena un paio di anni fa sui rapporti matrimoniali di coppia, e sullo spessore morale delle attuali famiglie, nonché indirettamente sui progressivi processi di secolarizzazione, ci hanno fatto ad esempio registrare che in tutta l’Europa siamo noi italiani i più numerosi a tradire la moglie. Ben il 45% di italiani, ha dichiarato di averla tradita almeno una volta: 43% Francia, 39% Spagna, 36% Gran Bretagna. Sono soprattutto percentuali riferite ai nuovi ceti medi, con qualche residua frazione di quel pochissimo che rimane della borghesia di una volta, caratterizzata nel passato  da una certa educazione, e di una certa  rigidità religiosa, morale  e culturale. E si tratta di quel nuovo ceto medio tanto atteso, agognato e ricercato dal nuovo centrismo politico. Anche quello di stampo cattolico, che con tutto il mio scetticismo e la mia poca fiducia, ho sempre tuttavia seguito con attenzione e interesse. Quella ricerca di un  nuovo centro politico cattolico, che ha sempre però dimenticato lo sguardo alla società concreta – come chiedeva  Luigi Sturzo.

Quella dei nostri giorni che ha visto sparire la classe operaia e la borghesia. E quella suggerita per esempio dal quotidiano Avvenire, che a proposito di donne, sul rapporto tra donne e Chiesa, ci rivela che le under 30 che si dichiarano cattoliche sono oggi solo il 33% delle italiane  Mentre appena 10 anni fa erano il 66%. E quelle che invece si definiscono atee, sono passate dal 12 al 30% circa. C’è dell’altro, perché attingendo a una recente indagine  ISTAT sulle donne italiane di età maggiore ai 14 anni, risulta che solo il 19% dichiara di andare a messa e di frequentare la Chiesa, mentre appena 20 anni fa erano ben il 36%. Trascuro i dati dei maschietti totalmente assenti dalla messa domenicale. Un rito oggi nelle mani degli ultrasessantenni. E concludo con il dato relativo al cosiddetto voto cattolico, di coloro cioè che dichiarano di andare a Messa: si tratta di na piccola percentuale di cittadini che divide le sue preferenze tra FdI e Pd, e poi M5s e Lega.

Prima di chiudere sarà forse utile ritornare un poco sul punto 3). La qualità e lo spessore culturale ed etico della nostra classe politica. I grandi valori non solo liberali in essa presenti di fraternità, uguaglianza, giustizia e rispetto della persona umana. Il suo percorso formativo e di esperienze pre-politiche. La mancanza di cultura generale e costituzionale. I criteri della sua selezione. E soprattutto il rigore e l’onestà della sua funzione pubblica, inscindibili da quella “etica della responsabilità”, che il sociologo Max Weber ci ha ricordato 100 anni fa nel corso di una sua conferenza, poi interamente trascritta nel saggio “La politica come professione” (titolo originale tedesco: “Politik als Beruf“). Di questo classico della sociologia mi limito a sottolineare il monito relativo alla particolare e fondamentale etica indispensabile alla classe politica di tutti i tempi. Weber afferma che “…l’etica della responsabilità consiste nel fatto che poiché il futuro si prospetta nella sua incertezza, l’uomo politico deve rispondere delle conseguenze (prevedibili) delle proprie azioni che hanno un peso sulla vita dei propri simili”. Poiché – aggiungeva – Il “peggior difetto del politico è la vanità, ossia il bisogno di porre se stessi in primo piano”. Scritte nel 1919, queste parole sono di una incredibile attualità.