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DOBBIAMO COSTRUIRE LA NUOVA RAPPRESENTANZA DI UNA GRANDE AREA DEMOCRATICA

Una pubblica opinione esigente, che avverte nondimeno l’eco di una tradizione degna di rispetto, non si sente a suo agio: ha bisogno di una nuova rappresentanza. Qual è però la causa politica per la quale invitare ad una nuova mobilitazione? Serve fare passi avanti.

Giuseppe Fioroni

Qualcosa indica l’attesa di una nuova rappresentanza. Al momento i democratici, considerati in senso lato, sembrano paralizzati. Guardano alla Destra, uscita vincitrice dalle elezioni, con un misto di rabbia e rassegnazione. La risposta più immediata consiste nell’alzare la voce, come che sia, anche quando basterebbe pronunciarsi pianamente in questa fase aurorale del governo Meloni. Non c’è misura. Per altro, si dice che nel Pd emerga la tentazione di una svolta radicale, ma in realtà la politica del Nazareno è già stata percepita, con esiti negativi nelle urne, come segno tangibile e corposo di questa impostazione. Ciò detto, s’impone una domanda: la responsabilità ricade anche sui cattolici democratici, ovvero sulla classe dirigente che ne intende rappresentare i valori e le aspirazioni? Penso che nessuno, obiettivamente, possa sentirsi escluso dal dovere di un grande esame di coscienza.

La Destra ha vinto anche per l’autoreferenzialità dei progressisti, insensibili al monito che veniva da un fenomeno di estraniazione dei ceti popolari. L’illusione di essere nel giusto perché “a sinistra”, a prescindere dal quadro sociale nel suo complesso, si è rivelata esiziale. È tempo di rompere gli schemi. Bisogna parlare ai molti che stanno fuori dai confini di partito, visto che ormai la “secessione elettorale” riguarda un mondo variegato e consistente.

Ecco, non possiamo chiudere gli occhi di fronte all’evidenza dei fatti. Nella società si è formato un blocco che vede insieme i refrattari di ieri e i delusi di oggi, tanto che l’area dell’astensionismo, anche per l’apporto dell’esteso segmento cattolico, è cresciuta sempre più, fino a diventare un problema per la democrazia italiana. Una pubblica opinione esigente, che avverte nondimeno l’eco di una tradizione degna di rispetto, non si sente rappresentata. Non va a destra, ma neppure scivola a sinistra: sta nel limbo di una politica senza parole e senza suggestioni. Una politica, potremmo dire, che si addensa nel presentimento della necessità di un nuovo inizio.

Significa, allora, uscire in mare aperto? In un certo senso sì, ma non per gusto di avventura o per amore dell’ignoto. È chiaro che la risposta semplice a questo disagio conclamato porta ad evocare il discorso sulla “forma partito” più adeguata alle necessità, con le variabili del caso; ma prima di ogni evocazione, seppur generosa e attrattiva, serve un ragionamento attorno alla causa politica per la quale invitare ad una nuova mobilitazione. Il binomio “democratici e cristiani” ha fatto perno, specialmente in Italia, sul realismo di una visione storica calata nel presente e aperta verso il futuro. Questo spirito deve animare l’impegno che prendiamo all’inizio del nuovo anno. Vogliamo guardare avanti per fare, se possibile e come possibile, un grande passo avanti.

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