Domenico Amalfitano, orgoglio pugliese, testimone della storia politica italiana.

I ricordi dell’uomo politico tarantino. La fine tragica di Moro - dice - portò anche alla “personalizzazione nociva della politica”. L’intervista appare sul numero 5 (gennaio 2024) di “Insieme”, mensile diretto da Gero Grassi.

Domenico Maria Amalfitano, nato a Martina Franca il 18 agosto 1941, p r o f e s s i one insegnante, esponente della Democrazia Cristiana. Nel 1976 eletto per la prima volta alla Camera dei Deputati, in carica fino al 1992.

 

Sono trascorsi 38 anni dalla firma del Nuovo Concordato per linsegnamento obbliga- torio della religione cattolica in tutte le scuole pubbliche, Lei quale posizione prese?

Nel dibattito articolato per l’or- ganizzazione dell’insegnamen- to della religione dopo, anche a seguito della firma rinnovata del Concordato, mi trovai assertore convinto, con Pietro Scoppola, del cosiddetto doppio canale: un insegnamento nell’area comune, con un’impostazione storico-teologica, obbligatoria e una presenza più catechetica nell’area opzionale come esperienza comunitaria di fede. La mediazione fu, come è attualmente, un insegnamento di religione cattolica con possibilità di scelta per altro insegnamento: facoltà di esonero con opzione sostitutiva di altro interesse. Argomento che andrebbe oggi ripreso e seguito per la grandissima importanza sia pedagogica che culturale in una prospettiva interdisciplinare.

 

Cosa ha significato per Lei lavorare con Franca Falcucci, prima donna a ricoprire la carica di Ministro della Pubblica Istruzione?

Franca Falcucci è stata tra i migliori ministri dell’istruzione che l’Italia abbia avuto sia per competenza, passione e capacità innovativa. Pensiamo a quanto ha fatto nel settore dell’handicap e nell’individuazione dei piani di sviluppo triennale della ricerca e dell’insegnamento universitario. Fui Sottosegretario vicario coadiuvandola particolarmente nei rapporti con il Parlamento.

 

Quale ruolo ricopriva nel periodo dellassassinio del Presidente Aldo Moro?

Ero in Parlamento da meno di due anni, grande difficoltà ad entrare nella tristissima vicenda, tutta immolata alla fermezza dello Stato e rivelatrice di un deficit delle istituzioni e di una non piena conoscenza e comprensione del ruolo e della politica di Aldo Moro.

 

Com’è cambiata la politica dopo quella pagina nera di fine anni settanta?

L’accentrarsi della crisi dei partiti e del valore della rappresentanza nonché la personalizzazione nociva della politica.

 

Lei è testimone della fine della Prima Repubblica, quali i cambiamenti principali?

Si bloccò la rifondazione culturale dei partiti che il governo di solidarietà aveva cercato di mettere in evidenza e un’adeguata, trascinata forma di governo di coalizione ci accompagnò al degrado.

 

La sua vita politica quali benefici porta alla sua terra?

Credo di aver innestato un’attenzione alla politica dei beni culturali con esiti anche occupazionali e formativi, all’istituzione della presenza universitaria sul territorio e della stessa ricerca scientifica nonché a un sistema scolastico più attento all’orientamento e alle vocazioni territoriali.

 

Un consiglio alle future classi dirigenti?

Avere visione, passione, responsabilità di rappresentare con competenza i bisogni del territorio. Sentire la politica come vocazione e comporre gli elementi per una pubblica, possibile felicità delle comunità. Sentirsi eletti e non cooptati.

 

Cosa ne pensa della sostenibilità?

La sostenibilità è una visione della vita e della politica. È una nuova comprensione della realtà, del mondo, del rapporto uomo/natura. È cultura, è coerente stile di vita che impegna tutti, al di là delle facili citazioni e dell’inflazione verbale.