Don Vincenzo Sorce e un villino bruciato

A Gela è bruciata una casa ma non la determinazione ad andare avanti nel progetto a cuore di un uomo che è stato una luce nel gelo di uomini che non hanno da appuntarsi sul petto alcuna stella

Qualche volta ti si gela il sangue addosso, che va ancor più in contrasto con la vita che continua a scorrere. Siamo a Gela. Da quelle parti i traffici non sono del tutto tranquilli e non basta di tanto in tanto un gel riparatore dello Stato per riparare al male compiuto. Per questo devono intervenire sempre figure fuori dalla norma che possano indicare la via da seguire. La persona in questione è Don Vincenzo Sorce, morto nel 2019, uno di quei preti dalla testa dura che si è mosso sempre come se non ci fosse un circondario del quale tenere conto.

Anche Papa Gelasio ebbe il suo da fare per vedersela contro la dottrina del patriarca costantinopolitano Acacio e contro l’imperatore Anastasio I.

Ad una persona appartenente alla Stidda, Salvatore Murana, anni fa lo Stato ha sequestrato il villino che, a seguito del definitivo sgombero, è stato assegnato alla onlus “Casa Famiglia Rosetta”, da adibire ad un centro destinato ad ospitare ragazzi autistici. Giorni fa l’immobile è andato improvvisamente a fuoco ed è rimasto devastato da cima a fondo. In conclusione, almeno per adesso, addio villino a tre livelli con corredo di piscina e quant’altro ancora.

La Stidda è una organizzazione di stampo mafioso. Par che in siciliano voglia dire “stella” ma anche “sfortuna”. C’è qualcosa che ha brillato e sono state le fiamme che hanno consumato voracemente e per cattiva sorte la struttura. Le indagini accerteranno la verità, se ci sia o no lo zampino della vendetta per un bene che, si ipotizza, è stato tolto dal piatto della Stidda, stizzita per come sono andate le cose.

“Mia e di nessun altro” è il titolo di un film che lascia in sospetto. Don Vincenzo ha iniziato la sua opera impressionato da un incontro con un giovane affetto da sclerosi multipla. Da quella volta, nel 1981, ha aperto la prima casa per disabili. Oggi sono più di un migliaio ed ospita chi ha avuto una vita difficile con problemi di droga, alcol, aids, gioco d’azzardo, ex detenuti, insomma quelli che sono ritenuti gli scarti dell’umanità. Don Vincenzo ha accolto, riabilitato e formato uomini e donne finalmente rigenerati allargando la sua azione anche nell’Est dell’Europa. Per il nostro sacerdote contemplazione e preghiera, senza servizio, sono soltanto una inutile parata e lui è stato un uomo di concretezza.

È singolare il nome di Casa Famiglia Rosetta. Potrebbe far pensare alla forma di pane da offrire ad ogni indigente così da sfamarlo. Meglio ancora si potrebbe pensare come un richiamo alla Stele di Rosetta che, come la casa andata al disfacimento, ha avuto ugualmente un destino travagliato. Da anni la Stele è rivendicata dall’Egitto che ne rivendica la proprietà e la restituzione dal British Museum che ancora non se ne avvede.

La Stele è stata fondamentale per decrittare gli scritti antichi. La Rosetta di Gela, dal suo canto, è stata temuta perché potesse spifferare che contro il crimine è possibile lottare e vincere.

Famiglia deriva da “famuls”, cioè da servitore o domestico, in buon ordine si tratta di un sottoposto che si spende per altri. La verità è meno tortuosa di quanto si immagini. Rosetta, affetta da sclerosi multipla, è stata una delle prime ospiti della casa messa in piedi da Don Vincenzo. Alla sua scomparsa, il nostro sacerdote pensò bene di dare alla Associazione il nome della donna, tra le prime a cui si era prestato cura.

Solo per far capire di cosa si tratta, l’Associazione è convenzionata con un numero nutrito di Università italiane e nel mondo per lo svolgimento di attività di tirocinio degli psicologi e psicoterapeuti ed ha collaborato con l’ONU per la formazione di operatori contro la droga provenienti dai paesi dell’Est europeo. Dal 2005 opera anche in Brasile e in Tanzania con la “Casa delle speranze Mons. Cataldo Naro” e il “Club della Gioia”.

L’elenco delle realtà messe in piedi da Don Vincenzo richiederebbe oltre ad una boccetta intera di inchiostro anche una dose di stupore che scopriremmo venir fuori per come sia possibile fare tanto, armati soltanto dalla attenzione verso gli ultimi.

Quando si gioca, si dà via la carta che non serve, quella che si considera inutile, da togliere subito di mezzo. Don Vincenzo ha dato valore ad ogni scarto, recuperando ciò che sembra senz’altro da eliminare, vincendo invece puntualmente ogni partita.

Scartare è separare, squartare ciò meriterebbe sempre pietà e attenzione. A Gela è bruciata una casa ma non la determinazione ad andare avanti nel progetto a cuore di un uomo che è stato una luce nel gelo di uomini che non hanno da appuntarsi sul petto alcuna stella. Nessuno incarterà il sogno di Don Vincenzo. Parola di Rosetta.