Uno dei temi decisivi per rinnovare la politica, rafforzare la qualità della democrazia e, soprattutto, restituire credibilità alle stesse istituzioni democratiche è come si costruisce la classe dirigente politica. La classe dirigente del futuro, come ovvio. E, su questo versante, diventa decisivo affrontare il tema del “dove”, oggi, si forma o si può formare la classe dirigente politica ed amministrativa. Al riguardo, noi conosciamo dove si è formata e come è cresciuta la classe dirigente del passato e anche parte di quella contemporanea.
Nel passato, come tutti sanno, c’erano delle agenzie formative precise e sufficientemente definite. Dai partiti politici all’associazionismo – in particolare quello cattolico -; dai gruppi culturali e sociali all’esperienza diretta nelle amministrazioni locali, quindi nel cosiddetto “civismo”. Ma, soprattutto, erano i partiti gli strumenti principali che assolvevano concretamente a questo compito. Certo, si trattava di partiti popolari e di massa, democratici e collegiali. Partiti con una cultura politica alle spalle che avevano anche la forza e il coraggio di dispiegare un progetto politico e, al contempo, anche una visione della società.
Dopodiché, rasi al suolo per svariate motivazioni questi strumenti democratici, sono rimaste sul terreno solo le macerie. E le macerie sono rappresentate dall’irruzione dei partiti personali, dei cartelli elettorali, dal criterio della “fedeltà” nei confronti del capo partito di turno e, in ultimo, dall’improvvisazione e dalla casualità della stessa classe dirigente. Frutto e prodotto dell’ideologia del populismo anti politico, demagogico e qualunquista che ha visto nel grillismo il suo compimento definitivo.
Una deriva che ha contribuito a ridicolizzare quella che un tempo veniva semplicemente chiamata classe dirigente. Politica ed amministrativa. Di conseguenza, abbandono della capacità di saper definire un progetto politico, archiviato il coraggio di disegnare un modello di società, abdicato al ruolo di essere esempio per le giovani generazioni e, soprattutto, radicale impossibilità di declinare una presenza politica popolare, sociale e radicata perché gli stessi partiti, nel frattempo, sono diventati semplici pallottolieri ed inguardabili cartelli elettorali.
Ecco perché chi continua a credere nell’importanza e nel ruolo dei partiti e nella loro funzione, prevista dalla stessa Costituzione, di contribuire a “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, non può non porsi il tema della formazione della classe dirigente e, di conseguenza, della sua stessa qualità ed autorevolezza. Perché senza classi dirigenti politiche preparate, radicate nei territori, espressione di pezzi di società e riconosciute come tali dalla intera pubblica opinione, sarà la stessa politica a uscirne fortemente ridimensionata se non addirittura sconfitta.
E per invertire la rotta si deve, altrettanto semplicemente, buttare a mare la stagione dei partiti personali, della vulgata “uno vale uno”, dell’esaltazione dell’incompetenza e della superficialità e sul fatto, forse il più importante, che la politica non richiede professionalità. No, perché la politica non è professionismo ma richiede ed impone la professionalità. E questo perché politici non ci si inventa ma si diventa.