Due anni di guerra e un insegnamento per l’Europa

Ancora oggi ascoltiamo degli incomprensibili sermoni sulla inopportunità di sostenere gli ucraini in questo disastroso conflitto anche con l’invio di armi, dimenticando fatalmente l’origine della guerra anche con l’invio di armi.

Sono passati due anni da quando la Russia di Putin ha messo in atto la scellerata aggressione all’Ucraina, portando morte e distruzione nel cuore dell’Europa. In questi due anni Putin ha mostrato in modo ancora più evidente il suo volto di arrogante dittatore, confermato peraltro dalla dura repressione con la quale opprime e schiaccia ogni tipo di opposizione e di protesta in Russia. Aleksej Navalny rappresenta purtroppo solo la punta di un iceberg di repressione, di carcerazioni disumane, di torture e di omicidi di stato perpetrati ai danni di chi osa dissentire rispetto alle nefandezze del regime putiniano.

Va ricordato che In questi due anni Putin ha respinto ogni tentativo di accordo e di pacificazione che potesse fermare la guerra contro l’Ucraina in quanto consapevole del fatto che finché c’è guerra c’è speranza (per lui ovviamente!). Dopo aver fatto girare a vuoto le diplomazie di mezza Europa ha rifiutato anche il generoso tentativo della Santa Sede che, con il Cardinale Zuppi, ha provato a trovare un punto di incontro tra Kiev e Mosca; ma purtroppo nella capitale russa Zuppi non ha trovato alcun tipo di ascolto.

Il dittatore del Cremlino è infatti ben conscio che sul piano interno un ulteriore insuccesso – oltre quello di non aver espugnato Kiev in pochi giorni – gli sarebbe sicuramente fatale e molto probabilmente non solo in termini politici. I due anni di conflitto hanno confermato che gli intenti di Putin non sono mai stati di tipo difensivo, ma rispondono esclusivamente a delle cervellotiche mire espansionistiche ed imperialistiche che la “sua” Russia è intenzionata a perseguire con l’uso della forza e in disprezzo di ogni logica di indipendenza ed autodeterminazione dei popoli. Gli stessi due anni di guerra non sono invece serviti a modificare le idee di chi parla di una pace chiaramente ingiusta, visto che dovrebbe essere – di fatto – il frutto solo di una resa incondizionata degli ucraini aggrediti. Si è detto e ripetuto più volte un concetto che fotografa la situazione bellica da due anni a questa parte: se smettono di combattere i russi finisce la guerra, ma se smettono di combattere gli ucraini finisce l’Ucraina. Eppure ancora oggi ascoltiamo degli incomprensibili sermoni sulla inopportunità di sostenere gli ucraini in questo disastroso conflitto anche con l’invio di armi, dimenticando fatalmente l’origine della guerra e le responsabilità di chi ha dato il via all’aggressione.

Ancora oggi chi vorrebbe fermare il sostegno a Kiev non è in grado di spiegare con quale misura alternativa si potrebbe contrastare l’inaccettabile pretesa della Russia di annettersi l’Ucraina; e soprattutto nessuno è in grado di garantire che il processo di espansione si fermerebbe poi alla sola Ucraina. La motivazione che si esibisce spesso in questi ragionamenti è la stanchezza dell’opinione pubblica europea e occidentale, facendo così un grande torto alla popolazione ucraina che – più che stanca – è distrutta moralmente e fisicamente da questi due anni di guerra, di privazioni, di sofferenza e dolori per noi inimmaginabili.

L’insegnamento che l’Europa deve trarre da questa vicenda è che democrazia, pace e libertà sono beni preziosi che hanno un costo, che è in ogni caso inferiore al loro valore.