E’ l’ammucchiata la risposta più seria ai “ sovranisti”?

Adesso, come estrema via di fuga,  si pensa alla creazione di un “ fronte antisovranista” che troverebbe maggior ragione d’essere a seguito dell’arrivo in Italia di quello Steve Bannon che non è riuscito neppure a mantenersi a Washington la propria iniziale posizione di mentore principale di Donald Trump.

L’intervento di Enrico Farinone su Il Domani d’Italia di ieri si muove lungo una prospettiva che sia Giorgio Merlo, sia io, abbiamo già valutato in maniera sostanzialmente convergente nei giorni scorsi su queste stesse colonne.

E’ chiaro che la parte più avvertita della sinistra si rende conto di come oggi non sia possibile più seguire quelle linee di autoreferenzialità che ne hanno caratterizzato gli ultimi anni e fortemente ridotto il peso e i voti del Pd guidato da Matteo Renzi.

La sinistra, che dentro e fuori i democratici, si limita solo ad interrogarsi su come superare il  “ renzismo” ed opporre un argine a quello che chiama “ sovranismo” e “ populismo” rischia d’inseguire una qualche scorciatoia, invece che avviare un lungo processo di rigenerazione.

Una discussione non  certamente al livello di quella dei laburisti britannici. Questi, mentre rimettono in discussione la questione della Brexit, provando a passare, magari, attraverso nuove elezioni politiche generali, si pongono il problema di come sia possibile  superare la visione capitalistica ed individuare un sostenibile sistema di economia mista, come puntare sulla “ green economy” per una rigenerazione del sistema economico e del lavoro nel Regno Unito, come contrastare il taglio della spesa pubblica che va a danno del sistema sanitario nazionale e dei disabili. Insomma, parlano di un Paese, non della crisi di un partito o di un’area politica.

Non vedo gli “ antisovranisti” italiani interrogarsi sull’Agenda 2030, sul Terzo settore, sull’economia civile. Non parlano di lavoro. Anche perché se ne sono occupati così male che, in questo momento, poca credibilità avrebbero nel farlo.  Non indicano una linea lungo cui sia possibile riequilibrare il rapporto tra lo Stato ed i cittadini, come fare uscire la Giustizia dalle secche su cui è stata fatta impantanare. Sono, in ogni caso, occupati in altro.

Pertanto, pensare che la risposta a Salvini ed ai 5 Stelle possa venire dal mettere su,  in fretta e furia, l’ammucchiata in un improvvisato accampamento fatto da tutti gli altri, confuso ed impresentabile, assume un qualcosa di incomprensibile. Rischia solo di aumentare i voti di “ sovranisti” e “ populisti” che, peraltro,  godono di un momento di innamoramento da parte dell’elettorato italiano.

Il Paese, scriveva giorni fa Marco Follini, ha bisogno di ritrovare e ricostituire i filoni ideali che ancora definiscono il senso di una presenza politica solida e costruttiva.

Una considerazione in aggiunta  merita il distacco progressivo che il Pd, trasformatosi in un “ partito radicale di massa”, ha consumato con il mondo cattolico italiano. Gran parte di questo, non trovando una risposta sia alle proprie istanze sociali, che riguardano ad esempio la famiglia, sia a quelle di natura morale, che pure avevano segnato una importante convergenza con l’aggravarsi della crisi del “ berlusconismo”, ha finito per ripiegare nell’astensionismo, nel votare al Sud per i 5 Stelle e al Nord per la Lega.

Enrico Farinone ha il merito, però, di far emergere con chiarezza ciò che da un certo tempo si muove sotto traccia. Sin dalla vittoria di Macron in Francia, in attesa della probabile sconfitta elettorale del Pd, anche se nessuno pensava avesse le proporzioni del  4 marzo. Erano ancora i giorni in cui svariati ambienti , anche cattolici, pensavano ad un risultato che potesse portare ad un “ governo del Presidente”, magari a guida Gentiloni.

Adesso, come estrema via di fuga,  si pensa alla creazione di un “ fronte antisovranista” che troverebbe maggior ragione d’essere a seguito dell’arrivo in Italia di quello Steve Bannon che non è riuscito neppure a mantenersi a Washington la propria iniziale posizione di mentore principale di Donald Trump. Vista l’incapacità di tenere conto di una complessità di situazioni che caratterizzano lo “ inner circle” del Presidente, lo stesso Partito repubblicano, l’apparato istituzionale e quello militare- diplomatico degli Usa.

C’è il rischio, allora, di incorrere in una lettura forzata e riduttiva delle cose. Anche se non sottovaluto affatto la presenza dei grandi interessi internazionali  e nazionali che congiurano per trasformarci nell’innesco della crisi del sistema europeo.

Pensiamo di risolviamo tutto questo con un gran listone antisovranista ed antipopulista? Oppure ad un“ preambolo” sottoscritto da tutte le forze politiche schierate non con la Lega, non con i Fratelli d’Italia e non con i 5 Stelle? Se l’elaborazione di ciò che resta della sinistra è questa, vuol dire che è messa davvero maluccio.

I preamboli non hanno mai portato fortuna a questo Paese. Soprattutto, sono sempre stati forieri di ulteriori  lacerazioni e divisioni. Anche perché essi stessi nascono sulla base della constatazione di una divisione presente tra i sottoscrittori.

Purtroppo, continuiamo a perdere di vista il fatto che quanto non ci piace è frutto di una disarticolazione sociale profonda verso cui continua a mancare l’attenzione adeguata. Guardiamo al dito e non alla luna.

La necessità è, invece, quella di interessarsi del Paese, delle sue reali esigenze.

Ciò richiede un lavoro politico programmatico completamente diverso che punti ad incunearsi nelle contraddizioni oggettivamente presenti nelle forze che oggi ci governano. Una necessità che, probabilmente, si presenterà anche dopo, se è vero che assisteremo ad un possibile sbocco in una sonora vittoria della destra riunificata.

Per far ciò è necessario superare la logica di contrapposizioni basate solo su equilibrismi politici e lavorare per delineare una prospettiva capace di puntare al recupero di un’identità nazionale equilibrata e condivisa.

La mancanza di questa identità continua a segnare  la nostra originalità rispetto alle altre democrazie evolute, Germania, Francia, Regno Unito. Questa ci continua a far essere il vero “ malato” d’Europa, per quanto la cosa sia amara da constatare.

A ben guardare, tutto ciò ha reso possibile la vittoria di 5 Stelle e Lega e la successiva inopinata formazione di un governo giocato su convergenze spurie, cui manca la prospettiva di presentarsi come un’autentica soluzione delle questioni  strutturali del Paese.

Il Contratto firmato da Di Maio e Salvini non serve a risolvere i veri problemi  dell’Italia. Reddito di cittadinanza e flat tax, le due principali carte giocate per assicurarsi una vittoria elettorale,  ben poco hanno a che fare con il lavoro, la ricucitura del tessuto imprenditoriale, istituzionale e sociale.

Lo stesso confronto con l’Europa rifugge dalla sostanza di ciò che dovrebbe costituire il nucleo di una proposta per il futuro dell’Unione. Europa federale, confederale, o dei popoli? Qual è la scelta? Possibile che si ritenga sufficiente litigare su alcuni decimali del debito sul Pil?

Ma se Lega e 5 Stelle mostrano la loro inadeguatezza, la sinistra si conferma altrettanto incapace a rispondere alla propria crisi, e a quella del Paese, ripiegata com’è nella ricerca di una mera scorciatoia.

E’ vero quel che scrivevano alcuni amici cattolici su Appunti, nel numero di maggio giugno scorso: “ Sembra invece che una parte del Partito democratico oggi coltivi velleitarie suggestioni macroniane, trascurando la circostanza che l’Italia non è la Francia ( specie sotto il profilo istituzionale ) e Renzi, reduce da una sequela di sconfitte, non è Macron”.

Così, mi pare inevitabile constatare che i cattolici democratici debbano prendere una propria strada, del tutto originale, con l’ambizione di sostituire questa sinistra in via di dissoluzione nel rappresentare un’alternativa realistica e ragionevole sia alla destra, sia ai 5 Stelle.