[…] Colpisce l’attenzione con cui De Gasperi – in questo particolarmente vicino agli amici Adenauer e Schuman – guarda all’identità culturale e spirituale dell’Europa, convinto che anche la più efficiente impalcatura istituzionale europea, privata del “soffio vitale” che nasce dal senso di una comune appartenenza coscientemente coltivato all’interno di ogni Stato, risulterebbe “senza colore” e “senza vita ideale al confronto delle vitalità nazionali particolari” (Strasburgo, 10 dicembre 1951). Anche su questo pare urgente recuperare l’eredità di questi padri fondatori, in un’Europa che da una parte sembra aver “delegato” a esperienze come l’Erasmus (in sé un’opportunità grandiosa) il compito di dare forma a una coscienza europea condivisa, e dall’altra parte tende fatalmente a contrapporre al riconoscimento dell’identità l’affermazione di un pluralismo astratto, che finisce per coincidere con una neutralizzazione sul piano valoriale dello spazio pubblico.
In Alcide De Gasperi, invece, identità e pluralismo sono due dimensioni che si compenetrano senza forzature, permettendo al servo di Dio di porre, in Italia come in Europa, le basi ideali e politiche di una società realmente plurale, nella quale i diversi apporti storici e identitari possono convivere senza prevaricare gli uni sugli altri. “Quanto a me”, afferma sempre a Roma il 13 ottobre 1953, “non vorrei fondare il mio sentimento di europeo sul solo fatto che mi sento cittadino di Roma e cristiano”. All’indomani della sua morte, nel 1954, Robert Schuman dirà significativamente che De Gasperi “aveva l’anima di un apostolo, ma non di un settario”.
A quest’ultimo proposito è frequente, quando si rievoca la figura di De Gasperi, vederla associata all’immagine per lo più mitizzata di un’“Europa cristiana”, le cui radici si sono colpevolmente perse nella coscienza dei più o sono state offuscate dalla mentalità laicista dominante. Sul punto occorre però considerare che De Gasperi – il quale nel suo impegno europeista sa farsi compagno di strada di persone anche molto lontane dalla sua sensibilità religiosa e politica – non insegue la nostalgia di un’Europa confessionale.
Ciò che gli sta a cuore, in Italia come in Europa, è piuttosto la vitalità di un cristianesimo “perennemente attivo, nei suoi effetti morali e sociali. Esso si realizza nel diritto e nell’azione sociale. Il suo rispetto per il libero sviluppo della persona umana, il suo amore della tolleranza e della fraternità si traducono nella sua opera di giustizia distributiva sul piano sociale e di pace sul piano internazionale” (Roma, 13 ottobre 1953). Anche questa, una lezione da non dimenticare.
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