Il commento non può che essere amaro. Alla lettura delle dichiarazioni di Gianfranco Rotondi (sul futuro della “sua” Dc) si sente in dovere di stigmatizzare la superficilità di questa uscita. Tuttavia Gerardo Bianco, irpino come Rotondi, non vuole confondere il piano politico con quello personale.
“Non ho motivo – esordisce – di considerare le divergenze di questi anni, dopo la fine della Dc, come un ostacolo ai rapporti di buona educazione e amicizia”. Si sente, insomma, che la reazione è controllata, al riparo di qualsiasi astio personale, ma ciò nondimeno vuole essere precisa, così da non dare adito a possibili equivoci. A fatica trattiene il disappunto.
Dice Rotondi che la Dc, con tanto di Scudo Crociato, non sarà più presente alle elezioni. Tutto passa alla Fondazione Fiorentino Sullo.
Gianfranco mi aveva parlato di un rilancio della Fondazione. Voleva che assumessi la presidenza onoraria. Perché no? Mi sembrava un’occasione per coltivare la memoria di una storia importante, specie in Irpinia, dove Fiorentino Sullo ha lasciato un segno indelebile.
E allora?
Beh…allora non è ciò che il comunicato stampa indica e prevede. Di per sé la scelta di “riconsegnare” il simbolo del partito è condivisibile. Il resto è invece discutibile.
Che cosa stride, perché il resto non va bene?
È l’operazione nel suo complesso a suscitare forti perplessità. La Dc è stata superata dall’assemblea straordinaria del gennaio 1994, quando Martinazzoli propose di andare oltre con un gesto clamoroso e solenne: si decise infatti di riprendere in mano la bandiera del Partito Popolare di Sturzo.
Ma le elezioni, celebrate proprio a ridosso di quell’Assemblea, portarono alle brusche dimissioni di Martinazzoli…
Ci furono passaggi molto dolorosi, a partire dalle dimissioni di Mino. In estate un nuovo congresso elesse Rocco Buttiglione e questi, nel giro di pochi mesi, immaginò di schierare a destra il partito, accordandosi con Berlusconi e Fini.
E dunque fu rottura.
Sì, non accettammo di piegare l’esperienza del popolarismo al quadro berlusconiano. Faticosamente arrivammo ad accordarci su una sorta di “divorzio consensuale”, ciascuno rivendicando le proprie ragioni di fondo.
Parliamo del famoso accordo di Cannes del 1995. Cosa stabiliva?
Semplicemente questo: a noi restava il nome di Partito Popolare e il quotidiano “Il Popolo”; a Buttiglione fu riconosciuto il diritto di utilizzare il simbolo dello Scudo Crociato (senza il nome di Democrazia Cristiana). Di lì a poco, a luglio, un nuovo congresso mi avrebbe eletto segretario dei Popolari. Ci dotammo di un simbolo, quello del Gonfalone, per onorare il patto di Cannes. Buttiglione costituì a sua volta i Cristiani Democratici Uniti (CDU), destinati poi a unirisi al Centro Cristiano Democratico (CCD). Da questa fusione nacque l’Unione di Centro (UDC). Il riepilogo chiarisce molte questioni.
Insomma, perché Rotondi sbaglia?
Penso di essere stato chiaro. Innanzi tutto perché non è nella sua facoltà parlare a nome di un partito che nel 1994 fu “superato” dal Partito Popolare. La Dc non può far parte di queste sistemazioni odierne. Aggiungo poi che Buttiglione, per quello che qui ho ricordato, non è l’ultimo segretario dei Popolari, così come sostiene Rotondi. Si fa confusione tanto sulla vecchia Dc, quanto sul nuovo PPI.
Quindi, non sono dettagli…
Assolutamente no. Sono aspetti, formali e sostanziali, nei quali è iscritta la storia travagliata del cattolicesimo democratico e popolare dell’ultimo quarto di secolo. Giocare con il passato serve non a fondare il futuro, bensì a complicare il presente. Considero questo modo di procedere a dir poco biasimevole. Non aiuta certamente a rispettare la memoria che avvolge la straordinaria vicenda della Dc. Ne dovremmo tener conto tutti, con scrupolo.