Nella sua lunga militanza politica, Bianco non ha mai rinunciato ad una coerenza di fondo; al contempo, nella costruzione della coalizione di centro sinistra, ha sempre sostenuto la necessità del famoso “trattino” tra il centro e la sinistra. Il che significava, in sostanza, l’autonomia del centro rispetto alla sinistra. Il suo “testamento politico e culturale – conclude l’autore – è proprio questo, coltivato e diffuso sino agli ultimi giorni della sua vita. E cioè, non rinunciare mai alla propria identità e alla propria cultura politica”.
Giorgio Merlo
Quando parli di Gerardo Bianco pensi subito ad alcune categorie politiche e, nello specifico, ad una cultura politica: il popolarismo di ispirazione cristiana. E questo perché Gerardo nella sua lunga ed intensa militanza politica non ha mai rinunciato ad una coerenza di fondo: e cioè, il popolarismo ha sempre ispirato la sua presenza politica nel partito, nella società e nelle istituzioni. Non ha mai rinunciato a questa specificità per il semplice motivo che per Lui la politica è sempre stata ricerca del “bene comune” che si poteva percorrere attraverso il confronto costruttivo e fattivo tra le singole culture politiche. Non ha mai accettato la subalternità politica della Sua cultura rispetto ad altri filoni ideali. Sia nella prima repubblica, con la lunga ed intensa militanza nella Democrazia Cristiana e sia, soprattutto, dopo la fine della Dc e l’avvio di una nuova ed inedita stagione politica. Un anelito, questo, che lo declinò con forza nella sua esperienza con la “sinistra sociale” di Forze Nuove guidata da Carlo Donat-Cattin negli anni ‘80 e prima nella “sinistra politica” di Base ma che ebbe la sua piena maturità e completezza durante la difficile e complessa, ma straordinaria ed entusiasmante, stagione del Partito Popolare Italiano.
La Sua segreteria nazionale del partito è sempre stata ispirata alla necessità di sottolineare le ragioni politico, culturali e sociali del popolarismo di ispirazione cristiana, di matrice sturziana, degasperiana e morotea. La sua collaborazione, e la sua profonda amicizia umana e politica, con Franco Marini era su questo versante straordinaria ed impeccabile. Furono, quelli, gli anni del “protagonismo” politico dei Popolari – i famosi “popolari del gonfalone” di Gerardo Bianco” – e della costruzione, paziente ma tenace, di una coalizione che non era succube o gregaria della sinistra post comunista ma sempre caratterizzata dal rispetto reciproco dei vari attori politici in campo e dalla riaffermazione della propria specificità culturale. Non a caso Gerardo Bianco ha sempre teorizzato che, nella costruzione della coalizione di centro sinistra, non si poteva mai rinunciare all’ormai famoso “trattino” tra il centro e la sinistra. Un “trattino” che significava, in sostanza, l’autonomia del centro rispetto alla sinistra e, soprattutto, il pieno riconoscimento di chi incarnava plasticamente quella “politica di centro” – ovvero i Popolari – all’interno dell’alleanza. Solo così pensava che fosse possibile dar vita e consolidare il progetto politico e l’esperienza dell’Ulivo.
Ecco, proprio per queste motivazioni Gerardo Bianco visse con qualche perplessità la decisione di “sciogliere” i Popolari, tappa decisiva e necessaria per far decollare il progetto della Margherita e, men che meno, la nascita del Partito democratico. Ma, comunque sia, in tutti questi anni ha sempre mantenuto alta la bandiera Popolare. Sia attraverso una forte, costante e significativa collaborazione con tutti gli amici Popolari, seppur disseminati nelle varie formazioni politiche, da un lato e, dall’altro, continuando a riaffermare le ragioni politiche, culturali, sociali, programmatiche e anche etiche del popolarismo.
Amava dire che in politica si è credibili, soprattutto in una fase liquida e trasformistica come quella contemporanea, solo se si è in grado di declinare sino in fondo una cultura politica. Solo così si può avere una “personalità politica riconosciuta e visibile”. E il testamento politico e culturale di Gerardo Bianco è proprio questo, coltivato e diffuso sino agli ultimi giorni della sua vita. E cioè, non rinunciare mai alla propria identità e alla propria cultura politica. E questo non solo per il futuro del popolarismo ma, soprattutto, per la credibilità della politica, per la serietà dei politici e per la stessa qualità della nostra democrazia. E Gerardo Bianco, appunto, non ha mai rinunciato ad essere un vero, credibile ed autentico Popolare, cristiano e democratico.