Forse il giovane Vincenzo era un predestinato, e forse proprio per questo fu definito “l’erede di San Filippo Neri”. Romano, nato nel 1795 in Via del Pellegrino 130, nel popolare quartiere del Parione, a due passi da Piazza Navona, scoprì sin dall’adolescenza la sua vocazione religiosa fondata sulla misericordia.

Erano gli ultimi anni di governo della Roma papalina, anni di conflitti tra potere spirituale e secolare, anni di scontri non solo ideologici. Pio IX stava rientrando da Gaeta dopo il breve esilio che seguì al drammatico attentato a Pellegrino Rossi e alla breve (ma intensa) esperienza della Repubblica Romana. Le discussioni tra il laicato e i fedeli della Chiesa erano sempre più animate; ragazzi appena ventenni si riunivano segretamente per mettere in atto strategie volte a esautorare il potere pontificio, fosse anche con le cattive. Altri ancora partivano volontari verso il Lombardo-Veneto – una delle culle del sentimento patriottico italiano – per muovere contro l’occupante austriaco.

E nonostante i “fuochi” della primavera del ’48 divampassero e i moderni stati d’Europa si orientassero progressivamente verso ordinamenti politici di tipo parlamentare, nella capitale c’era chi, come don Vincenzo, insisteva con il suo impegno filantropico volto a tutelare i più deboli e i diseredati. Perché in fin dei conti, quelli che stavano peggio, a scapito delle ormai annose lacerazioni politico-sociali, erano sempre i poveracci e gli indifesi (come i fanciulli).

I conflitti non avevano scalfito di una virgola l’intenzione di introdurre nelle case il messaggio evangelico in cui quel giovane credeva e da cui si sentiva ispirato.
Ordinato nel 1818, l’opera di sensibilizzazione del sacerdote del Parione non risparmiava nessuno: nobili, laici, attivisti politici, donne, e neanche gli stessi fedeli che la mattina si recavano a messa presso Santa Maria del Suffragio, in Via Giulia, dove egli svolgeva il suo ufficio. Offriva, per quanto potesse, cibo e beni di prima necessità a chi ne aveva bisogno. Ma la predilezione maggiore era tuttavia per i giovani, specialmente i più sfortunati, coloro che facevano  fatica anche a usufruire di un piatto caldo di minestra. L’attività di Don Vincenzo era diventata quasi martellante; bussava porta a porta, spiegava ciò di cui si occupava e chiedeva fondi, esortando i suoi dirimpettai a fare lo stesso per la analoga causa. A Campo dè Fiori tutti lo conoscevano, e la sua popolarità si diffuse via via in modo sempre più vasto, sino a varcare le soglie delle più alte stanze della Curia romana. Una condizione che indusse Papa Gregorio XVI a concedere la benedizione apostolica al suo movimento, il quale prese il nome di Pia Unione dell’Apostolato Cattolico. Era la primavera del 1835.

Nello stesso periodo, su don Vincenzo iniziarono a circolare voci straordinarie: secondo alcune di queste, era stato in grado di guarire una giovane in fin di vita con la preghiera. Secondo altre, a un poco più che ventenne Giovanni Maria Mastai Ferretti, suo coetaneo, durante un colloquio aveva predetto il pontificato. Inoltre, nella Roma popolare si vociferava che compisse atti di flagellazione. Nel frattempo, l’Unione dell’Apostolato attirò progressivamente centinaia di volontari e fedeli, senza distinzione di fede o di estrazione sociale. Vennero organizzate le prime missioni e fu redatta la prima regola (distribuita in trentatré punti, quanti gli anni di Cristo) in continuità con la diffusione di un impegno universale, non selettivo e che aveva nel volontariato il suo cuore pulsante. Pratica che in nome del Pallotti fu trasmessa in tutti i continenti.

Don Vincenzo se ne andò dopo una lunga malattia, nel gennaio del 1850, quando i semi da lui gettati stavano dando grandi frutti e il potere secolare ecclesiastico si avviava verso il crepuscolo. Pio XII lo beatificò nel 1950, mentre la canonizzazione avvenne nel 1963 per mano di Giovanni XXIII. A lui, la parrocchia di San Salvatore in Onda di Roma riservò uno spazio sotto l’altare maggiore, dove è tutt’ora deposto e ben visibile ai fedeli che si recano nella splendida chiesa di Via dei Pettinari.