Guardare oltre l‘orizzonte

Esiste un mondo in cui le persone non lasciano che le cose accadano. Le fanno accadere

Ex alio – articolo già apparso sul giornale “Il Secolo XIX” del 10 settembre 2018 a firma di Alessandro Comola

Il 3 febbraio 1998, un aereo Americano trancia il cavo portante della cabina della funivia del Cermis, 20 i morti. Il giorno seguente il Ministro della Difesa Beniamino Andreatta dichiara davanti alle telecamere di tutto il mondo: “abbiamo appena contato i sacchi dei morti. Non possiamo in alcun modo accettare che tutto questo sia avvenuto per una violazione di norme”. Il moto d’orgoglio del trentino Andreatta segnò in maniera netta quella vicenda e in qualche misura fu il viatico per poter giungere, pur tra enormi difficoltà, ad una soluzione dove la giustizia sostanziale si fece strada garantendo che episodi di quel genere non si verificassero più.

Il 14 agosto il crollo del ponte Morandi segna un tragico punto di svolta nella storia del nostro Paese. Il Presidente della Repubblica Mattarella, anche Lui innanzi alle bare dei poveri morti, dichiara lapidariamente: “È una tragedia inaccettabile”. Una limpida sentenza, senza bisogno d’appello.  

Due eventi lontani nel tempo, tuttavia, uniti dalle responsabilità – senza sé e senza ma – di una pluralità di soggetti che il cuore della gente ha condannato. La giustizia farà il suo corso, ma l’enormità di quanto accaduto rinvia a certe indiscutibili responsabilità. Responsabilità che sono diffuse, a livello nazionale e locale.

Le 43 persone perite sotto il ponte Morandi, non sono vittime di una fatalità o del caso.

Queste persone sono i caduti di una guerra, vera e propria. Noi genovesi, ma non solo, siamo dei sopravissuti; quel ponte era la nostra porta per uscire ed entrare in città.  

Le prime informazioni che trapelano dalle indagini ci danno una chiave di lettura. Su quel ponte passavano decine e decine di migliaia di mezzi pesanti, ogni santo giorno. Non si poteva, evidentemente, rinunciare a quei ricavi. Il profitto ad ogni costo (cocciuto e cieco), alla fine anche in danno del profitto stesso.

Oggi è in corso una guerra dove il capitale, svincolato da ogni principio etico, pur ben presente nelle teorie classiche del liberalismo economico, rincorre senza posa la speculazione, fino alla distruzione delle vite umane. Il lavoro buono ne è travolto, basti pensare alla compressione dei salari nel nostro Paese.

Genova e il Paese, hanno il grande compito di restituire all’Italia la credibilità così duramente messa in discussione. Parimenti, da quel ponte spezzato, tutte le forze responsabili devono rilanciare un nuovo modello di sviluppo per l’Europa, nel segno del pensiero e dell’azione di chi l’ha con tenacia voluta e disegnata come il solo possibile destino comune dei popoli europei.

È, quindi, essenziale si torni a riflettere sui modelli di gestione, senza pregiudizi. Il tema nazionalizzazioni sì o no è fuorviante. Troppo spesso confondiamo gli effetti con le cause.

Il punto nodale è che chiunque eserciti, pubblico o privato, un’attività che impatta sulla sicurezza dei cittadini lo deve fare bene, punto e basta. Come farebbe “il buon padre di famiglia”.

La sicurezza non può risentire di vincoli di alcun tipo, men che meno di bilancio. I controlli, effettivi ed indipendenti, devono garantire – con certezza – che la sicurezza ci sia, sul serio.

Il nostro Presidente – con efficace sintesi – ricordava come Sergio Marchionne sapesse “guardare oltre l’orizzonte”. Questo – la nostra Comunità nazionale – deve saper fare. Per il Paese e per Genova la sfida è quella di trasformare un’indegna catastrofe in una prova d’orgoglio ed efficienza nazionale.

Ricostruire il Ponte e realizzare la Gronda è come dire al fratturato che la gamba va ingessata.

Non basta. Ci vuole un progetto forte per la città, il Paese e l’Europa.

Genova ha punti d’eccellenza. Nella sua scuola, nella sua Università, nell’Istituto Italiano di Tecnologia, nell’Industria Pubblica e Privata e nel mondo portuale e dei servizi. Se il profitto ad ogni costo ha messo a repentaglio in modo criminale ed ottuso la sicurezza del Paese, questo e’ il tema su cui lanciare un grande programma sia culturale che industriale.

Genova capitale europea della Sicurezza.

Come avvenne negli anni ’80 in cui Filippo Peschiera e Beppe Manzitti promossero il Comitato Pubblici-Privati oggi, le forze migliori della Città e del Paese con le Istituzioni tutte, pensino un progetto che veda nella Sicurezza – in ogni sua possibile e variegata declinazione – il fulcro della certa rinascita. Questo progetto potrebbe essere l’occasione di un rilancio, non solo industriale ma anche culturale. Un progetto che coinvolga i giovani di età scolare e l’Università – rivolto a creare un modello educativo di sensibilizzazione ai temi della sicurezza – potrà garantire effetti duraturi per la Comunità nazionale.

Marchionne – in una delle sue ultime presenze in pubblico – ammoniva: “Siamo stati noi il nostro grande nemico. Quando dico noi, intendo davvero tutti: chi ha governato il Paese; quegli imprenditori che in un modo o nell’altro si sono resi complici dell’inerzia; e quelle tenaci forze di conservazione, di destra e di sinistra, che sono ancora radicate in tanta parte della società’”.

Non ci resta che far tesoro delle sue parole e del suo esempio perché “esiste un mondo in cui le persone non lasciano che le cose accadano. Le fanno accadere”. Genova non mancherà di raccogliere questa sfida.  

 

*L‘autore, avvocato, è stato difensore delle famiglie delle vittime del Chermis. Aderisce, sul piano politico, al movimento della “Rete Bianca“.