Guerra in Medioriente, bisogna fare attenzione alle mosse dell’Iran.

È evidente quanto gli Accordi di Abramo, ancor più nel caso ipotizzato di una adesione ad essi anche dell’Arabia Saudita, si pongano in contrasto con le ambizioni strategiche iraniane.

Tralasciando per un momento la grave situazione che si sta determinando in Cisgiordania, il rischio maggiore, nella carneficina della guerra a Gaza, è come noto l’estensione del conflitto ai confini settentrionali di Israele, quelli con il Libano dove comanda e opera Hezbollah. La miccia della possibile esplosione è facilmente individuabile: un violento attacco dei miliziani sciiti contro il territorio israeliano tale da indurre Gerusalemme a invadere il Libano meridionale. In questo caso l’Iran potrebbe intervenire a sostegno della sua costola libanese. Uno scenario da incubo, perché a quel punto gli Stati Uniti, già presenti nel Mediterraneo orientale con due portaerei, potrebbero a loro volta decidere di proteggere attivamente Israele.

Questa possibile, catastrofica, evoluzione dello scenario mediorientale è il solo motivo per il quale sino ad oggi Hezbollah non ha deciso un suo ingresso in guerra. Perché l’Iran non lo vuole, per il momento. Osservare con attenzione le posizioni degli ayatollah è utile per comprendere meglio la situazione e le sue possibili evoluzioni future, almeno quelle di breve periodo. Gli obiettivi preminenti per Teheran sul fronte internazionale sono tre.

Divenire una potenza nucleare, un target che il regime si è dato da molti anni e che, per quanto non facilmente raggiungibile, rimane prioritario sia pure spostato in avanti nel tempo. Da questo punto di vista la rottura da parte del Presidente Trump dell’accordo siglato a Vienna nel 2015 sull’eliminazione da parte dell’Iran delle sue riserve di uranio ha ridato fiato e mezzi finanziari conseguenti all’ala dura del regime: quella che, appunto, vuole ad ogni costo arrivare a possedere la bomba atomica.

Il secondo obiettivo strategico è la realizzazione e il consolidamento della ormai famosa “Mezzaluna sciita”, ovvero il collegamento non interrotto fra l’est e l’ovest mediorientale, fra i suoi territori e quelli, gestiti di fatto da milizie e gruppi sciiti, che arrivano sin sullo sbocco mediterraneo libanese. Da Teheran a Beirut passando per il nord iracheno controllato da Hashd al-Shaabi, per la porzione settentrionale della Siria governata dal dittatore sciita alawita Assad, per il Libano ove Hezbollah comanda molte zone del paese. In alcune di queste aree, in Siria e Iraq, ci sono ancora alcune basi USA in funzione anti ISIS con 3000 uomini che l’Iran ha interesse ovviamente a far andare via e sulle quali pertanto esercita una discreta azione di disturbo tramite attacchi brevi ma plurimi.

Questo collegamento da oriente a occidente, dalle montagne persiane al mare di quello che veniva chiamato il Paese dei Cedri, consente all’Iran di affermare una propria rilevante presenza, diciamo così, “psicologica” oltre che meramente territoriale all’interno del mondo sunnita (azione alla quale si dedicano pure gli alleati Houthi nel nord dello Yemen, impegnati pure a creare problemi agli americani nel Mar Rosso, come testimonia l’attacco di ieri l’altro al cacciatorpediniere USS Carney) nonché di creare una sorta di “autostrada” utile a far pervenire sostegno militare proprio ad Hezbollah, il cui compito rimane quello di esercitare una pressione pesante e continua su Israele, senza peraltro – sinora – superare la linea rossa che preluderebbe ad un devastante conflitto.

Non bisogna infatti dimenticare il terzo grande obiettivo iraniano: la distruzione dello stato ebraico. Obiettivo di lungo periodo, mai però negato. Motivo del sostegno a gruppi come Hamas, anche se sunniti, o alla Jihad islamica palestinese, sicuramente preferita rispetto al primo.

In questo quadro è evidente quanto gli Accordi di Abramo, ancor più nel caso ipotizzato di una adesione ad essi anche dell’Arabia, si pongano in contrasto con le ambizioni strategiche iraniane. È assoluto interesse dunque per Teheran che essi falliscano, o comunque che non vi aderisca il regime saudita. Obiettivo ora raggiunto grazie all’azione terroristica del 7 ottobre. Lecito credere che i Guardiani della Rivoluzione fossero informati – se non di più – di quanto Hamas andava preparando. E questa è un’ombra nera sul futuro. Di tutti, non solo di chi vive in quella martoriata regione.