Il convegno di Castagnetti non scioglie il nodo dell’autonomia dei Popolari

In una lettera a Stefano Cavazzoni, poco prima di fondare il Partito Popolare, Sturzo scriveva: “Abbiamo bisogno di una differenzazione”. È un’esigenza, questa, che avvertiamo nuovamente ai giorni nostri.

L’incontro promosso venerdì e sabato della scorsa settimana da Pierluigi Castagnetti all’Angelicum ha suscitato molte attese, ma alla luce poi dei risultati, ridotti a una generica apertura della Schlein nei riguardi dei cattolici presenti nel Pd, ha lasciato più di qualcuno con l’amaro in bocca. In sostanza, si conferma la criticità di fondo per la caduta di valenza politica del popolarismo nell’involucro di un partito che a tutti gli effetti, trascurando proprio l’apporto di questa storica corrente democratica di matrice cristiana, finisce per indebolirsi nel rapporto con la società. Da quando i Popolari si sono autoconfinati nel recinto della testimonianza intermittente, perlopiù a misura di questioni impegnative sul piano della coscienza dei credenti, come ad esempio la maternità surrogata o il suicidio assistito, si è andato esaurendo il potenziale di attrattività della compagine diretta oggi dalla “radicale” Schlein. Purtroppo i Popolari, intendendo per essi coloro che hanno continuato a militare nel Pd, sono diventati ininfluenti.

All’Angelicum sono state affrontati temi importanti e sono emerse indicazioni suggestive – dalla pace al lavoro, dalle riforme sociali e quelle costituzionali. È la riprova che un retroterra ideale esiste e non si esaurisce, malgrado tutto, con la perdita di una funzione direttiva nel partito originariamente pensato come partito unico del riformisti. Ora, non basta appellarsi, come ha fatto Castagnetti, al carattere democratico del Pd; non basta, cioè, il “diritto alla parola” che tutti, anche i Popolari, sono in condizione di esercitare al Nazareno o nelle realtà di territorio. L’interrogativo ineludibile sta dentro la critica all’abbandono della “cultura di centro”: come è possibile, in definitiva, trasformare il cattolicesimo democratico in una sorta di reagente chimico da immettere nei processi selettivi della sinistra, solo per dare ad essa, in qualche modo, un’inclinazione o una coloritura piuttosto che un’altra?

Guai a confondere la lezione di De Gasperi sul partito di centro che muove verso sinistra con la suggestione dell’ansia sociale – a Dossetti capitò di parlarne (Uciim, 1951) come un tipico complesso attribuibile ai cattolici – che spinge incauti cristiani ad animare la sinistra dal di dentro, con l’idea di surrogarne l’intima volontà di rinnovamento. All’origine del popolarismo troviamo invece quel dato di viva preoccupazione che alla fine della Grande Guerra, di fronte alla crisi del liberalismo e all’aggressiva esorbitanza del socialismo, portava Sturzo a dire in una lettera a Stefano Cavazzoni poco prima di fondare il Partito Popolare: “Abbiamo bisogno di una differenzazione”. Ecco, questo è il punto che dovrebbe essere colto dal mondo popolare. Non si può restare prigionieri di una politica che esige, da parte nostra, la presa di coscienza circa la radicalizzazione della lotta democratica e il suo scadimento a procedura di mera conquista del potere. Abbiamo nuovamente bisogno di una coraggiosa differenziazione, per essere noi stessi nel dialogo con gli altri, senza avere paura di riscoprire il “centro” secondo la storia più istruttiva e stimolante del cattolicesimo popolare e democratico.