I cattolici popolari per un nuovo Centro riformista.

Giorgio Merlo

 

Il ritorno della destra identitaria e di governo da un lato e l’irrompere, dopo le primarie del Pd, di una sinistra radicale, libertaria, estremista e massimalista dall’altro, non può non contemplare anche la presenza di un Centro. O meglio, di una “politica di centro” che non significa la presenza passiva e anche un po’ trasformistica di un Centro equidistante e puramente geografico ma, al contrario, di un luogo politico che sia fortemente dinamico, autenticamente democratico, genuinamente riformista e realmente di governo. Insomma, diciamocelo apertamente. Sarebbe semplicemente singolare, nonchè anacronistico, che in un paese dove si governa storicamente “dal centro” e “al centro”, come insegna la stessa esperienza dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni dopo la roboante campagna elettorale, trionfasse la radicalizzazione della lotta politica da un lato e, al contempo, si governasse con la “cultura del centro” dall’altro.

 

Ora, il Centro riformista non va banalmente e semplicisticamente evocato ma, come diceva recentemente e giustamente Matteo Renzi, va costruito con intelligenza politica, coerenza culturale e, soprattutto, con coraggio programmatico. Ben sapendo che il riformismo, di norma, è inizialmente quasi sempre impopolare perchè non si limita a cavalcare gli umori qualunquisti e demagogici tipici della deriva e della sub cultura populista e anti politica ma punta, sempre, a costruire una vera cultura di governo. Elementi populisti, del resto, declinati con coerenza dal verbo grillino che ha contagiato, purtroppo, larghi settori della politica italiana e supportato dalla stragrande maggioranza del circo mediatico del nostro paese.

 

Ecco perchè se è vero, com’è vero, che ci troviamo di fronte ad una possibile inversione di tendenza dove la politica può finalmente ritornare ad essere protagonista nel processo democratico del nostro paese, la cultura e la prassi riformista possono nuovamente vivere una stagione decisiva e determinante per la stessa efficacia della nostra azione di governo.

 

Ed è proprio lungo questo processo che si inserisce il ruolo politico, culturale e programmatico, anche se non esclusivo, dei cattolici popolari e sociali. E questo non solo perchè il Centro riformista nel nostro paese, storicamente, ha sempre visto nella cultura cattolico popolare e sociale uno dei suoi pilastri costitutivi ma per la semplice ragione che proprio quel Centro riformista non può ridursi ad essere una banale e quasi ridicola riedizione, seppur in forma aggiornata e rivista, del partito liberale o repubblicano o tardo azionista. Il Centro riformista, al contrario, non può che essere popolare e sociale, semprechè non voglia giocare una partita meramente marginale e periferica rispetto all’evoluzione concreta del dibattito politico italiano. E questo anche perchè la cultura e la tradizione del cattolicesimo popolare e sociale non possono diventare elementi di rincalzo di una destra ancora, almeno per il momento, troppo identitaria e di una sinistra che ormai percorre il sentiero del radicalismo valoriale e con una forte caratterizzazione massimalista ed estremista.

 

Per questi semplici motivi il ruolo, la cultura, la tradizione e la saggezza di questo storico e qualificato “pensiero” politico non possono che attivarsi per un rinnovato impegno politico e culturale in un campo dove è più facile costruire un progetto coerente con le proprie radici storiche ed ideali. Non per riaffermare una primogenitura ma, al contrario, per contribuire con altri a far crescere un progetto di governo che in questi ultimi anni è stato sacrificato sull’altare di una maldestra modernità che poi è sfociata in un sempre più insopportabile populismo di marca qualunquista e demagogica.

 

Insomma, anche per questa cultura non è più il tempo del disimpegno, della indifferenza o, peggio ancora, del ritirarsi dall’impegno politico diretto. Ma, al contrario, dell’azione concreta e della elaborazione politica e progettuale.