Articolo apparso già su HuffingtonPost
Non è un caso che attorno al pensiero di Sturzo, in vista del centenario dell’Appello ai liberi e forti (19 gennaio 2019), si sia aperta una discussione dai tratti vivaci, capace di offrire per altro alcuni spunti di novità.
Al popolo dei credenti aveva rivolto l’invito il Presidente della Conferenza episcopale, il card. Bassetti: l’Appello costituisce una pietra miliare nella storia del cattolicesimo politico italiano. È una lezione che va ripresa, aggiornandola con intelligenza.
Su altri versanti, l’ex radicale Taradash auspica vivamente la ripresa del progetto sturziano. Lo fa, come altri in passato, per rinverdire il contributo di un grande uomo di Chiesa e un fine intellettuale politico alla battaglia per la libertà in un’Italia strozzata, ieri come oggi, dal vincolismo e dalle resistenze dei tanti corporativismi.
Qual è la novità nell’intervento di Taradash? Non basta il cenno al liberismo – tutto da interpretare e tradurre – di Sturzo: in effetti, leggendo l’Appello, emerge il richiamo alla costruzione di un blocco culturale e politico, contro il degrado morale e l’anarchia del primo dopoguerra, capace di unire “elementi di conservazione e di progresso”.
Era nel 1919 e potrebbe essere, appunto, ancora oggi la missione legata all’alleanza di tutti i riformisti democratici, per mettere argine allo straripante fenomeno del populismo. Un secolo fa non aveva caratteri molto dissimili, il populismo: salvo che, all’inizio del Novecento, a prevalere non era il tema dell’emergenza emigrazione ma l’opposto, ovvero il dramma degli Italiani costretti a emigrare per sfuggire alla condizione di povertà endemica, con ampie fasce di disoccupazione.
Spiace dunque osservare che nel Partito democratico manchi la capacità, in questa fase estremamente delicata, di ricollegare al discorso di Sturzo sulla convergenza tra gli elementi di “conservazione e progresso” lo sforzo compiuto nel 2007 per associare a un’unica impresa democratica le forze a lungo divise dei riformisti di diversa matrice e tradizione. È come se, a tale riguardo, una suggestione potente trovasse infine strade diverse, o anche alternative, per potersi manifestarsi di nuovo.
Di questo passo, a forza di ragionare in modo esclusivo sul perché del declino della sinistra, il Partito democratico è destinato a incarnare la smentita delle proprie ambizioni originarie. Può darsi che l’amalgama tentato all’epoca fosse azzardato, ma ipotizzare oggi, in termini pratici, la cancellazione dell’esigenza sottostante ad esso è il vero errore che incombe sulla politica dei Democratici.
Per questo il confronto su Sturzo non può essere derubricato – ecco la responsabilità degli attuali vertici del Nazareno – a indagine identitaria dei cattolici, dentro un castello di solitudine per essi, ma certo anche per altri, con una perdita di significato per tutti. Occorre invece fissare bene l’obiettivo prioritario, quello di una nuova alleanza contro i populisti, unendo con intelligenza e flessibilità i diversi “mondi vitali” di un’Italia non rassegnata alla deriva dell’intolleranza e alla pratica della demagogia.
Se non assume questa funzione di riordino e ricomposizione, senza iattanza, il Partito democratico è minacciato di lenta agonia. Dobbiamo evitarlo, insieme, da dentro e da fuori. Ma per evitarlo serve una lettura più rigorosa della crisi attuale, facendo del popolarismo sturziano, in accordo con altre lezioni politiche, la leva di una proposta ai “liberi e forti” di oggi.