I padri, i figli e la polemica politica.

Le colpe dei padri non possono ricadere sui figli e viceversa. Morale? Ci sono momenti drammatici che devono essere vissuti all’insegna della coerenza, del coraggio, della trasparenza e del rispetto umano e politico.

Periodicamente, purtroppo, irrompe nella storia politica italiana – e non solo italiana, come ovvio – il rapporto tra padri e figli. O meglio, tra padri impegnati in politica a vari livelli e alcuni comportamenti dei figli. Apparentemente una non notizia per un semplice motivo: perchè le colpe dei padri non possono ricadere mai sui figli e le colpe dei figli, a sua volta, non possono ricadere mai sui padri. 

Eppure le cronache del passato, e di periodi più recenti, ci consegnano uno spettacolo molto diverso e più ingarbugliato. Ovvero, di norma alcuni atteggiamenti e comportamenti dei figli ricadono drasticamente sull’impegno e sul percorso politico dei padri. Nel caso specifico, dei padri che hanno ruoli istituzionali o politici rilevanti. I casi, più o meno famosi, li conosciamo tutti. In questi giorni gli organi di informazione e alcuni talk televisivi lo ricordano in modo più o meno strumentale, ma lo ricordano comunque e puntualmente.

Ora, noi cattolici democratici e popolari non siamo storicamente e culturalmente né moralisti, né giustizialisti, né manettari e non distribuiamo, usualmente, pagelle di onestà e di trasparenza a destra e a manca. Un compito, questo, svolto egregiamente dai populisti contemporanei e da tutti coloro che hanno una concezione politica ed ideale riconducibile alla cosiddetta “superiorità morale” nei confronti degli avversari/nemici. Al riguardo, tutti sappiamo chi storicamente si è fatto, e si fa, portatore ed interprete di quella sub cultura nella cittadella politica italiana. Ma, per fermarsi ad un dato generale e senza interferire nei singoli casi specifici, c’è un passaggio nella storia politica italiana che non può – almeno a mio giudizio e di quello di molti di noi – non essere richiamato ed evidenziato anche in questo frangente. 

Mi riferisco, nello specifico, al “caso Donat-Cattin” che scosse e condizionò profondamente la politica italiana agli inizi degli anni ‘80. Tutti conoscono i particolari e non è affatto il caso, come ovvio, di soffermarsi morbosamente su di essi. Quello che va evidenziato, semmai, e come ha giustamente ricordato Rosy Bindi durante un talk di La 7 alcuni giorni fa parlando appunto del rapporto tra padri e figli, con le inevitabili ricadute politiche, è la compostezza e la serietà dell’atteggiamento manifestati dall’allora leader storico della sinistra Dc di Forze Nuove Carlo Donat-Cattin non soltanto durante quelle settimane drammatiche dei primi mesi del 1980, ma anche e soprattutto negli anni successivi. 

Nessuna indulgenza, nessuna corsia preferenziale, nessuna giustificazione, ma sempre e solo fiducia nello stato di diritto. Il tutto all’insegna della trasparenza, della profonda distinzione dei piani e della correttezza dell’agire politico. Un atteggiamento, quello di Carlo Donat-Cattin, al netto di una sofferenza atroce ma conservata nella sfera intima della coscienza e nell’alveo del recinto famigliare, che gli ha permesso di continuare da protagonista la sua battaglia politica da leader indomito e coraggioso che è sempre stato.

Ecco perchè, senza cadere nel moralismo, nel populismo e nella becera propaganda, anche nella politica italiana ci sono dei momenti drammatici che possono, e devono, essere vissuti all’insegna della coerenza, del coraggio, della trasparenza e del rispetto umano e politico. Al netto, come ovvio, della sofferenza interiore dove nessuno, ma proprio nessuno, ha il potere e il diritto di interferire e di giudicare.