Unità dei Popolari, coraggio e intelligenza di fronte al cambio di epoca.

Più che agli organigrammi è tempo di pensare alle idee e a come farle circolare. Più che del manuale Cencelli si avverte la necessità dello spirito del Codice di Camaldoli.

L’incontro di venerdì prossimo di Tempi nuovi – Popolari Uniti, che cade nella data evocativa di un cambio di epoca del passato, il 14 luglio, costituisce un’occasione importante per proseguire quel processo di ricomposizione del popolarismo in funzione della rinascita di un centro adeguato alle sfide poste dal cambiamento d’epoca in corso, che né la destra né la sinistra sembrano attrezzate ad affrontare. L’azione politica si esercita sempre nelle condizioni date. Quelle attuali registrano una pluralità di opinioni riguardo al tema dell’unità del Popolari. Cionondimeno la sfida dell’unità va lanciata in vista delle elezioni europee del prossimo anno. Neanche può costituire un alibi la constatazione che il panorama politico è ormai costituito da partiti del capo, partiti a gestione familiare o aziendale, o se va bene, da partiti gestiti da blindatissimi cerchi magici resi possibili dalla prassi di nomina dei parlamentari da parte dei leader di partito.

Lo stato dei partiti attuali dipende dalla personalizzazione della politica, che è stata introdotta negli anni novanta con le elezioni dirette di sindaci e presidenti negli enti locali, e con il maggioritario per le elezioni parlamentari.

Un lucidissimo Guido Bodrato già nel 1993 denunciava il fatto che tali riforme elettorali avrebbero portato ad una progressiva sostituzione delle gerarchie politiche con le gerarchie economiche. Eppure anche per i Popolari non c’è altra strada che passare attraverso l’attuale frammentazione e personalizzazione della politica per perseguire lo scopo di ricostruire un grande partito di centro, culturalmente plurale tra culture politiche compatibili, dotato di democrazia interna effettiva, e dunque anche contendibile. Una presenza da rilanciare con l’organizzazione unita ad una costante capacità di elaborazione politica. Più che agli organigrammi è tempo di pensare alle idee e a come farle circolare. Più che del manuale Cencelli si avverte  la necessità dello spirito del Codice di Camaldoli, al cui 80° anniversario la Fondazione Donat-Cattin ha dedicato un recente convegno di approfondimento.

Serve la consapevolezza nei gruppi dirigenti che ora, come 80 anni fa, si devono fissare a un livello ulteriore di progresso e di civiltà gli orientamenti fondamentali che regolano la vita dello stato, il rapporto fra stato e cittadino e fra stato ed economia. Perché il cambio d’epoca che stiamo vivendo, il passaggio da una secolare egemonia occidentale a un mondo multipolare (se non verrà contrastato da quanti hanno interesse a farlo, facendo  deliberatamente evolvere il conflitto ucraino verso una dimensione mondiale), in ultima analisi implica un cambio di gerarchie nel mondo occidentale. Un cambio che la tradizione popolare e cattolico-democratica non solo fa meno fatica di altre ad accettare (mentre la sinistra appare incapace di uscire dalla propria subalternità all’ancien régime), ma sente, per più di un aspetto, come proprio.

Si parla molto, a ragione, della straordinaria attualità del modello di relazioni internazionali inaugurato da Enrico Mattei, quasi un fautore ante litteram dello spirito che anima i BRICS, e altrettanto avviene all’alba dei tempi nuovi in arrivo, riguardo al modello economico delle partecipazioni statali, dell’economia mista di mercato, in cui lo stato che rappresenta gli interessi di tutti, è il soggetto che ha l’ultima parola e non la finanza privata internazionale. È il modello che nella sostanza, pur nelle diversità nazionali e di regimi, si sta affermando nella maggior parte dei Paesi extra occidentali, e appare destinato a divenire il nuovo standard globale, creando i presupposti per una generale e strutturale riduzione delle disuguaglianze. 

Per tali ragioni si avverte il bisogno di un nuovo e fecondo popolarismo, che esprime una visione di futuro, consapevole del proprio ruolo nel centro, per animare con la forza delle idee e del dialogo la politica italiana e per riannodarla alle attese e alle domande dei ceti medi e popolari e in tal modo nutrendo la democrazia di nuova linfa di partecipazione.