I partiti personali e l’ipocrisia dei passi indietro

Se i leader sequestrano la vita dei partiti, è inutile farsi illusioni. Al di là delle buone intenzioni, l’eccessiva e brutale personalizzazione della politica non può favorire la realizzazione di una buona politica.

Il voto europeo ha rimesso in circolazione una strana teoria politica. Strana e singolare perché, entrando nel merito, si pensa e si auspica che i leader e i capi dei partiti personali si facciano da parte dopo le sconfitte politiche ed elettorali. È il caso, nello specifico, di Renzi e di Calenda che dopo avere dissipato un enorme patrimonio politico e soprattutto elettorale scaturito dal voto del settembre 2022, sono di nuovo incappati in una sonora batosta elettorale nella recente consultazione europea. Frutto, questa volta, di una manifesta volontà di spaccare un progetto politico per reiterate questioni personali e caratteriali.

Ora, al di là del comportamento e delle concrete scelte politiche di questi due partiti, Italia Viva e Azione, il nodo politico di fondo è un altro. E cioè, i partiti personali non possono fare a meno del loro leader/capo, pena la dissoluzione e il tramonto immediati dei medesimi partiti. È un tema, questo, talmente scontato che non richiede neanche un minimo di riflessione. Ed hanno profondamente ragione, al riguardo, sia Renzi che Calenda che hanno già annunciato – il giorno dopo la sconfitta elettorale – due “congressi costituenti dal basso” dei rispettivi partiti. Dopodichè, par di capire, per la scelta dei vertici vinca il migliore. Ma, e sempre nel caso specifico, il risultato è già scritto alla vigilia perché quel cartello elettorale o quel partito personale esistono nella misura in cui li guidano e li comandano il capo. Punto.

Detto questo, e senza alcuna polemica politica, perché è un fatto semplicemente oggettivo e anche scontato, il nodo si pone nel momento in cui quei partiti personali si inseriscono in un progetto più largo e articolato. In questo caso nella ricostruzione del campo del Centro. Sempre più indispensabile e necessario da un lato ma ancora difficile da delinearne il profilo, la mission e lo stesso progetto. Quando si parla del Centro che guarda all’attuale sinistra di Schlein, Fratoianni/Bonelli/Salis e Conte. Perché, e per fermarsi al nodo dei partiti personali, credo sia importante sottolineare un aspetto non irrilevante. Qualunque sia il profilo e il progetto del nuovo e futuro Centro che guarda a questa sinistra, l’apporto dei partiti personali rischia sempre di minarne la sua unità e, soprattutto, rischia di bloccarne il suo decollo. E questo per la ragione che il leader/capo del partito personale è portato, quasi naturalmente, a condizionare il cammino di un agglomerato più grande attraverso il suo carisma o la sua leadership. Che, detto fra di noi, può rallentarne il suo cammino se il progetto non coincide con le sue aspettative.

Ecco perché è inutile parlare del decollo di un progetto politico, che dovrebbe essere plurale e collegiale, se al suo interno si contempla anche, e soprattutto, la presenza di partiti personali o del capo. Perché al di là delle seppur buone intenzioni, l’eccessiva e brutale personalizzazione della politica non può favorire la realizzazione di una buona politica. È bene saperlo prima che sia, di nuovo, troppo tardi.